Lidia Macchi, 30 anni fa la bugia dell’amico chierichetto

Pubblicato il 18 Gennaio 2016 - 12:31 OLTRE 6 MESI FA
Lidia Macchi, 30 anni fa la bugia dell'amico chierichetto

Lidia Macchi, 30 anni fa la bugia dell’amico chierichetto

ROMA – Lidia Macchi, la ragazza assassinata 29 anni fa, forse troverà giustizia: l’arresto di Stefano Binda sta facendo venir fuori complicità e omertà del suo vecchio gruppo legato a Comunione e Liberazione di Varese. Come la bugia  – come altro chiamarla – con cui il suo migliore amico dell’epoca, Don Giuseppe Sotgiu, chierichetto al tempo, deviò ogni sospetto dal Binda, che nonostante la fama di intellettuale e giovane promessa aveva già cominciato a farsi di eroina.

Subito dopo il delitto dichiarò agli inquirenti che la sera fatidica Binda era al cinema con lui insieme ad altri amici della parrocchia. Binda, evidentemente ignaro, testimonia invece di esser stato in montagna con altri amici e di esser tornato il giorno dopo la consumazione del delitto. Il futuro don Sotgiu torna allora dalla Polizia per rettificare: ho visto un film in televisione a casa con amici, Binda non era con me. Versione avallata dagli amici.

Primo mistero: quando un testimone cambia versione dovrebbe essere normale verificare motivi e scopi (presunti o meno) del cambio di atteggiamento. Voleva fornire un alibi a Binda? Nessun tentativo di chiarire la questione fu preso in considerazione, tipo verificare che Binda fosse davvero stato in montagna. Secondo mistero: Binda e la povera Lidia Macchi erano più che assidui in quei giorni, tutti ne erano a conoscenza: come è possibile che gli inquirenti abbiano creduto come fosse oro colato alle parole di Binda che sosteneva di conoscerla appena? Il giorno dei funerali lui e Sotgiu furono accolti dalla madre di Lidia Macchi che, se lo ricorda ancora, offrì loro una torta di mele.

Ora la testimonianza a 30 anni di distanza di Patrizia Bianchi, l’unica donna che Binda abbia mai baciato (non è un dettaglio per il movente, visto che Binda avrebbe ucciso proprio perché la ragazza acconsentì a un rapporto sessuale), sembra portare il “cold case” alla sua risoluzione: ma già negli anni ’90 aveva rivelato a un suo fidanzato la sua convinzione che ad uccidere Lidia Macchi fosse stato Binda. Paolo Colonnello su La Stampa sottolinea come il gruppo parrocchiale possa intervenire ancora a protezione di Binda.

Così, quando il 7 agosto scorso a Binda viene ufficialmente comunicato di essere il sospettato numero 1, lui, nota il gip nel provvedimento di arresto, «riprende i contatti con le figure del suo passato»: il nunzio apostolico Piergiorgio Bertoldo, missionario in Africa e poi Marco Pippione, oggi come allora «uno dei responsabili varesini del movimento di Cielle». «In altre parole Binda ha cercato di riprendere contatto con quel passato per prepararsi a un possibile sviluppo delle indagini». E forse ad una fuga, visto che tra i motivi dell’arresto il gip mette questa eventualità oltre alla reiterazione del reato. (Paolo Colonnello, La Stampa).