L’Italia rimarrà senza medici? Più pensionamenti che lauree, il numero chiuso blocca troppi candidati

di Alessandro Avico
Pubblicato il 12 Ottobre 2009 - 13:51| Aggiornato il 17 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

mediciIn un futuro non troppo lontano, tra 11 anni, molti italiani potrebbero rimanere senza medico di famiglia e negli ospedali, chirurghi, infermieri, ortopedici ed anestesisti, scarseggeranno sempre di più, fino a scomparire. La soluzione al problema? Assumere stranieri, come nel Regno Unito, in Germania e in Danimarca.

Come mai però questo calo del personale se ogni anno gli iscritti alla facoltà di Medicina aumenta?

La spiegazione e l’allarme sono affidati alle parole di Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale dell’ordine dei medici, chirurghi ed odontoiatri, che spiega: «Nel 2008 sono stati 8364 gli studenti iscritti. Tolto il 25% che, in media, non arriva alla laurea restano in 6.000 quelli che, tra 10-15 anni, entreranno a regime dopo la specializzazione. In quel quinquennio, andranno in pensione in 15.000 mila. Ecco i conti: usciranno in 15 mila, entreranno in 6 mila. Siamo già sotto organico».

Queste le cifre fornite dalla Federazione: nell’anno in corso stanno lavorando 343 mila professionisti tra i 30 e i 70 anni (età media 49,8 anni). Se il tasso d’iscrizione a Medicina rimanesse invariato (la media negli ultimi 10 anni è di circa 6.200 all’anno), nel 2029 i dottori scenderebbero a 280 mila (63.698 in meno), con una età media superiore ai 54 anni.

«Il by pass è superato, l’ulcera si cura con i farmaci, nascono meno figli e servono più geriatri. Cambiamenti strutturali di cui lo sbarramento, così com’è concepito, non tiene conto», dice Gabriele Pellissero, docente di igiene e organizzazione sanitaria all’Università degli Studi di Pavia e direttore scientifico dell’ospedale Policlinico San Donato, a Milano. Aggiunge: «Dove insegno si sono presentati ai test d’ammissione 1.253 ragazzi per 220 posti. L’Università dovrebbe selezionare durante la formazione, non a priori con un quiz».

Sulla formazione pone l’accento anche Gabriele Peperoni, segretario generale della federazione dei medici: «L’Università funziona bene nel trasferire conoscenze, meno nell’insegnamento della pratica. Il servizio sanitario nazionale deve diventare la palestra dei futuri dottori».