Malasanità in Calabria: “Mio figlio è morto per un braccio ingessato”

Pubblicato il 4 Gennaio 2010 - 10:07 OLTRE 6 MESI FA

Una madre ha perso il figlio per un episodio grave di malasanità avvenuto nel 2005 all’ospedale di Cosenza. Ora, la donna ha scritto una lettera al “Corriere della Sera” in cui si auspica di “fermare la mattanza” che avviene negli ospedali del sud Italia a volte per interventi banali: «Sono Fatima, la mamma di Andrea Bonanno, il bambino di 7 anni che nell’ottobre del 2005, ha perso la vita nell’ospedale Civile Annunziata di Cosenza per un’ingessatura troppo stretta applicatagli al braccio».

«Scrivo questa lettera perché l’ultimo dell’anno, in Calabria, si è verificato l’ennesimo caso di malasanità. Nello stesso ospedale, stesso reparto di ortopedia e traumatologia.. a una bambina di due anni e mezzo è stato ingessato il braccio sano anziché quello fratturato e ai lamenti della bambina la risposta è stata che faceva i capricci, esattamente come si diceva per Andrea…».

La mamma spiega che dopo la morte del figlio,  il Tribunale penale di Cosenza ha aperto un’inchiesta condannando tre medici: tra questi, due sono stati condannati dal giudice monocratico per omicidio colposo ed uno per falso, «per aver alterato la cartella clinica di Andrea. Come si vede, qui non ci facciamo mancare proprio niente!»scrive la signora.

«..Quello che mi ha sconvolto e frustrato è che per salvare Andrea sarebbe bastato che gli ortopedici avessero seguito regole basilari, quelle che si insegnano ai tirocinanti. La struttura che avrebbe dovuto garantire (a mio figlio) la guarigione da una banale frattura lo ha ucciso. Il piccolo Andrea è stato prima di tutto vittima di un sistema che concepisce il malato come una sorta di fantoccio inanimato, un contenitore di organi e ossa da trasportato da un reparto all’altro..».

Dopo lo sfogo, la mamma di Andrea lancia un’accusa molto pesante alla sanità calabrese: «Qui la gente perde la vita, non perché viene sottoposta ad interventi di alta chirurgia, dove i rischi sono messi in conto, bensì per appendicite, per ascesso tonsillare o peggio ancora per un semplice gesso. È forse chiedere troppo, desiderare che qualcuno faccia qualcosa per fermare questa mattanza?…». «Quando mio figlio è morto –  aggiunge la madre – in quell’esatto momento ha smesso di essere qualcuno ed è diventato solo qualcosa per cui liberarsi al più presto da ogni responsabilità».

«C’è chi ha falsificato la cartella clinica, – dichiara la signora Fatima – c’è la cosiddetta Commissione interna che con assoluta mancanza di rispetto verso la mote di un bambino, e dei suoi genitori, senza aspettare neanche l’esito dell’autopsia, era già pronta a sostenere “ipotesi assolutorie”…A mie spese ho scoperto che (i medici) si difendono anche quando sono così evidenti le proprie colpe».

Conclude la madre del piccolo morto nell’ospedale Civile Annunziata di Cosenza lanciando una speranza: « Affido questa lettera…a tutti i lettori, sperando, o forse sognando, che qualcosa o qualcuno possa porre fine a tante ingiustizie».