Maresciallo Masi: “Vidi Messina Denaro. Mi impedirono di prenderlo”

Pubblicato il 3 Maggio 2013 - 16:02| Aggiornato il 8 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

PALERMO – “Ho visto Matteo Messina Denaro. Ma mi hanno detto di fermare le mie indagini”: è la rivelazione fatta al Corriere della Sera del maresciallo Saverio Masi, oggi capo scorta del Pm Nino Di Matteo che indaga sulla trattativa mafia-Stato.

Masi ha presentato una denuncia in cui rivela il nome del superiore e di tutti gli altri che avrebbero ostacolato le indagini su Bernardo Provenzano prima e Messina Denaro poi.

“Noi non abbiamo intenzione di prendere Provenzano! Non hai capito niente allora? Ti devi fermare!” gli avrebbe detto il suo superiore. “Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella?”, si è sentito domandare. Quando nessuno sapeva che la sorella fosse disoccupata.

Scrive il Corriere della Sera:

Un macigno scagliato mentre è in corso la requisitoria del Pm Nino di Matteo contro gli ex ufficiali del Ros accusati di avere favorito la latitanza di Provenzano. Ma la testimonianza di Masi arriva anche pochi giorni prima del 27 maggio quando si aprirà il processo sulla trattativa mafia-Stato, ed è destinata a lasciare il segno.

I fatti si svolgono tra il 2001 e il 2007. Provenzano nel frattempo è stato arrestato (nel 2006), Matteo Messina Denaro ancora no. Masi, per uno strano intreccio di vite, oggi è il capo scorta di Di Matteo, il pm che indaga sulla trattativa.

Quando Masi nel 2001 si presenta al Nucleo Provinciale di Palermo chiede di occuparsi della cattura di Provenzano. La caccia ai latitanti è una missione che sente cucita sulla pelle e invece lo inviano a Caltavuturo, sulle Madonie. Non si rassegna e, di propria iniziativa, si mette sulle tracce di Provenzano.

Si sorprende quando intuisce che con pochi mezzi e consultando vecchi verbali, all’indomani dell’arresto del boss Benedetto Spera, riesce ad individuare un contatore Enel riferibile a chi gestiva la latitanza di Provenzano ben cinque anni prima della sua cattura. Difficile immaginare la sua reazione quando i superiori gli ordinano di sospendere le indagini. Gli appare chiaro che non c’è tanta voglia di catturare il boss di Corleone. Forse è per questo che molti spunti d’indagine rimangono lettera morta, come quelli raccolti in una notte dell’agosto del 2001.

Secondo quanto riporta il Corriere della Sera ci sarebbe di mezzo anche un “noto pregiudicato legato a Provenzano” e “un italoamericano che ha solo una preoccupazione: invitare negli Usa il premier Berlusconi l’8 ottobre alla festa del Columbus Day”.

L’americano dice: “Voglio Berlusconi e ho detto a Nicola come si deve fare. Iddu è pure in buoni rapporti con Bush“, e il mafioso italiano risponde: “Certo, come lo vedo, glielo dico io”. Pochi giorni dopo c’è l’attentato alle Torri, Berlusconi partecipa al Columbus Day, ma al telefono. Chi fosse Nicola e a chi fosse intestata l’utenza Usa non si è mai saputo. È rimasto anche il mistero di come un italoamericano e un picciotto delle contrade siciliane potessero condizionare Berlusconi.

Masi poi descrive il goffo tentativo di piazzare le cimici nel casolare di Provenzano, caduto nel vuoto perché il Ros aveva dimenticato gli attrezzi per forzare la serratura. Un episodio che fa il paio con un altro avvenuto poco dopo, quando i superiori ordinano a Masi, senza spiegare il motivo, di sospendere il pedinamento di Ficano, cognato di Simone Castello, postino di Provenzano.

Masi aveva ficcato il naso nel parco autodemolizioni di proprietà di Ficano e aveva scoperto, tra pneumatici e carcasse, un casotto con dentro una macchina per scrivere. La stessa che probabilmente veniva usata per compilare i pizzini destinati a Provenzano. E forse in alcuni casi l’aveva usata lo stesso boss. In quel casotto pochi minuti prima era entrato anche il suo capitano e, non rilevando nulla di anomalo, aveva deciso di non piazzare microspie.

Masi stupito chiede di fare accertamenti sulla macchina per scrivere. Chiede di battere l’alfabeto su un foglio, per poter confrontare i caratteri con quelli dei “pizzini” già sequestrati. Una richiesta banale, ma il capitano si rifiuta. Ne scaturisce un’animata discussione dopo la quale Masi apprende che anche nelle indagini su Gaetano Lipari, “l’infermiere di Bernardo Provenzano ”, era stato impartito lo stesso incredibile ordine: non pedinare i principali indagati.

Masi avrebbe anche visto Messina denaro, in un casolare nelle campagne tra Bagheria e Misilmeri. Dopo l’avvistamento il maresciallo scrive l’ennesima relazione, che, “come le altre, cade nel vuoto”.

Nel marzo del 2004 Masi vede nuovamente Messina Denaro. E’ alla guida di un’utilitaria che gli taglia la strada a Bagheria. “Lo segue mentre si infila in una villa. Ad attenderlo c’è una donna. Annota tutto e chiede l’autorizzazione a proseguire le indagini”. Ma anche in questo caso i superiori gli chiedono di far finta di nulla.

L’ultima relazione Masi l’ha scritta ieri. Ha messo in fila fatti e nomi e li ha consegnati alla Procura di Palermo. La vicenda ha un epilogo classico (…). Masi tra poco affronterà un processo dove è accusato di tentata truffa per aver chiesto l’annullamento di una multa contratta con l’auto privata mentre svolgeva gli appostamenti. “Usavamo le macchine di amici – aveva spiegato nel processo Mori – perché i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio”.

A difenderlo gli avvocati Carta e Desideri, gli stessi che ora lo assistono nella denuncia depositata pochi giorni dopo le minacce al Pm Di Matteo. Una pagina di testo scritta al computer: “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”.

È il pizzino scritto da chi si identifica come uno del commando di morte. Quello che è certo è che è ben informato. Conosce nei dettagli notizie riservate, spostamenti e soprattutto i punti deboli della protezione del Pm che sta indagando sulla trattativa mafia-Stato.