Uccise la moglie dell’amante: ergastolo per Maria Teresa Crivellari

Pubblicato il 5 Aprile 2012 - 17:18 OLTRE 6 MESI FA

Marina Patriti

TORINO – Il gup Massimo Scarabello ha condannato all’ergastolo Maria Teresa Crivellari, la donna che nel 2010 fece rapire la moglie del suo amante, Marina Patriti, la uccise somministrandole del veleno e poi la tenne seppellita per oltre otto mesi nel giardino di casa, a Sant’Ambrogio di Torino (Torino). Sono stati condannati a pene tra i 15 ed i 16 anni anche il figlio della donna, Alessandro Marella, e i due esecutori materiali del sequestro, Andrea Chiappetta e Calogero Pasqualino.  I quattro erano tutti imputati di concorso in sequestro, omicidio e occultamento di cadavere. La Crivellari, oltre ad essere l’autrice materiale del delitto, aveva l’aggravante di aver cercato di coinvolgere il marito della vittima, Giacomo Bellorio, sostenendo che l’aveva aiutata a seppellirne il corpo. E’ stata, dunque, anche condannata per calunnia. Alessandro Marella, oggi 22 anni, figlio minore di Maria Teresa Crivellari, aveva confessato di avere aiutato la madre a sorvegliare la casalinga e a seppellirne il corpo nel giardino, ma ha sempre negato ogni coinvolgimento nell’omicidio. Durante il processo, il pm Eugenia Ghi, che ha sostenuto l’accusa, aveva chiesto l’ergastolo per Crivellari e 20 anni a testa per Marella, Chiappetta e Pasqualino. Il dispositivo del gup Massimo Scarabello, al termine del processo avvenuto con rito abbreviato, ha condannato il primo a 15 anni e quattro mesi, il secondo a 16 anni e il terzo a 15 anni.

Nessun risarcimento è stato stabilito al marito della donna, Giacomo Bellorio, che anzi dovrà compensare le spese legali sostenute. Il giudice ha invece accordato provvisionali di 300.000 euro per ciascuno dei tre figli della donna, di 200.000 per il padre e di 100.000 euro per il fratello, per complessivi 1.200.000 euro. Ulteriori risarcimenti potranno essere richiesti in sede civile. La Crivellari,  in aula, prima della sentenza, ha chiesto scusa ai familiari della vittima. La donna ha letto una lettera con cui ha ammesso anche di avere calunniato Bellorio per ripicca. ”Mi aveva illusa per anni di essere la donna della sua vita”, ha detto. Poco dopo la lettura della sentenza, Guglielmo Patriti, padre della vittima, ha respinto le scuse: ”Non me ne faccio nulla”, ha detto.