Mario Cerciello Rega, bendare un sospetto configura più di un reato. Ecco quali

di Daniela Lauria
Pubblicato il 29 Luglio 2019 - 18:13 OLTRE 6 MESI FA
Mario Cerciello Rega, bendare un sospetto configura più di un reato. Ecco quali

In foto il premier Giuseppe Conte con il comandante dei Carabinieri, Giovanni Nistri. Per entrambi bendare un sospetto è reato

ROMA – Bendare un sospetto configura più di un reato. Lo ha detto il premier Giuseppe Conte commentando la famigerata foto di uno dei due americani indagati per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega a Roma. Lo scatto che ritrae Gariel Christian Natale Hjorth bendato e in manette mentre era tenuto in custodia dai Carabinieri, ha suscitato non poco clamore. Ma l’affermazione di Conte è sostanzialmente corretta, per diverse ragioni. 

Il comandante generale dei Carabinieri Giovanni Nistri il giorno seguente alla diffusione della foto ha detto chiaramente: “Quanto è successo è molto grave, abbiamo subito avviato inchiesta interna per individuare e sanzionare i responsabili, informandone l’autorità giudiziaria per ogni valutazione sugli eventuali aspetti penali”.

Intanto il carabiniere che ha materialmente bendato l’indagato, secondo quanto riferito dall’Arma, è stato trasferito ad altro incarico “non operativo”.

In sostanza l’esistenza di possibili reati è stata indicata dalla stessa Arma dei Carabinieri, dal presidente del Consiglio e anche dai rappresentanti del mondo dell’avvocatura. Ma quali sarebbero questi reati che potrebbero essere stati commessi dal carabiniere – di cui al momento non è stato reso noto il nome – che ha bendato il presunto assassino del carabiniere Cerciello? E ci sono altri reati configurabili? Prima ancora del codice penale, è la Costituzione a stabilire alcuni principi fondamentali in questa materia. 

Ecco allora, secondo un accurato fact checking dell’Agi, quali sono i reati configurabili.  

I PRINCIPI COSTITUZIONALI

L’articolo 13 della Costituzione stabilisce che “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. E ancora, “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.

Bendare un indagato non è un modo previsto dalla legge – in base alla legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario e al dpr 431/1976 che la attua – e, anzi, potrebbe essere considerata una “violenza morale”, cioè una forzatura (fisica o non) della libertà di scelta di una persona.

Secondo il presidente dell’Unione delle camere penali Gian Domenico Caiazza, interpellato da Pagella Politica, “questa è l’ipotesi al momento, anche se ovviamente stiamo parlando solo a livello teorico e dobbiamo aspettare che siano i giudici a pronunciarsi, dopo aver valutato tutte le circostanze in concreto”.

Inoltre, in base all’articolo 27 della Costituzione, l’imputato – anche quando reo confesso – è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva. La confessione infatti potrebbe nascere ad esempio dal desiderio di proteggere qualcun altro (si pensi al caso di Michele Misseri), da uno stato confusionale o anche da una situazione di violenza psicologica.

Seguendo questi principi costituzionali, anche il codice penale impone ai pubblici ufficiali di procedere rispettando la legge nei confronti di chi si trova privato della libertà.

ABUSO, VIOLENZA, TORTURA?

Il reato che potrebbe riguardare il carabiniere che ha bendato Gabriel Christian Natale Hjorth – ma per avere certezze è ovviamente necessario attendere eventuali pronunciamenti della magistratura – è, anche secondo il Pg di Roma Salvi, l’“abuso di autorità contro arrestati o detenuti”. Questo reato, disciplinato dall’art. 608 del codice penale, avviene quando il pubblico ufficiale “sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge” un arrestato o un detenuto. È punito con la reclusione fino a 30 mesi. Dato che bendare un indagato non è una misura consentita, in base alle norme sull’ordinamento penitenziario, sembra ipotizzabile il reato. 

Altro reato ipotizzabile, secondo il Pg Salvi, sarebbe poi la violenza privata. L’art. 610 c.p. punisce con la reclusione fino a 4 anni “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”. Un reato ancora più grave, ma che da quel che si sa al momento sembra difficile possa essere ipotizzato, sarebbe poi quello di tortura. In base all’articolo 613 bis del codice penale “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni”. Se il colpevole è un pubblico ufficiale, la pena della reclusione passa a da cinque a dodici anni.

Nel caso in questione, bisognerebbe che gli avvocati del ragazzo riuscissero a dimostrare un “verificabile trauma psichico” per essere stato bendato.

LE CONSEGUENZE PER IL PROCESSO

Il bendaggio dell’indagato, oltre ad essere illegale, rischia poi di avere delle conseguenze negative per le indagini. Il codice di procedura penale stabilisce (art. 188 c.p.p.) che “non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti”. Bendare gli occhi potrebbe ricadere tra queste ipotesi.

Se così fosse, in base all’art. 191 c.p.p., le prove acquisite in questo modo non potrebbero essere utilizzate e bendare l’indagato si rivelerebbe in realtà un regalo alla difesa e un autogol per le forze dell’ordine. Secondo Gian Domenico Caiazza in teoria ci sarebbe quindi il rischio che l’interrogatorio venga dichiarato nullo. Secondo il procuratore generale di Roma, Giuseppe Salvi, l’interrogatorio si sarebbe invece svolto regolarmente e dunque questo rischio verrebbe meno. Per avere una risposta definitiva a questo dubbio bisognerà attendere le decisioni dei giudici.

Il codice di procedura penale spiega poi anche perché, oltre al possibile reato di aver bendato una persona tenuta in custodia dalle forze dell’ordine, c’è il rischio che sia stato commesso anche un altro illecito, in particolare diffondendo la foto di Gabriel Christian Natale Hjorth bendato e ammanettato.

LA DIFFUSIONE DELLA FOTO

Al di là delle possibili violazioni della privacy dell’indagato, la diffusione della foto rischia di configurare un illecito disciplinare in base all’articolo 114 co. 6bis del codice di procedura penale. Questo articolo stabilisce infatti che non si può pubblicare – tranne che con il consenso della persona interessata – “l’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica”. Nel caso in questione si vedono chiaramente le manette, e la coercizione in generale per l’essere bendato e con le mani legate dietro la schiena, mentre non risulta che l’indagato vi abbia consentito.

CONCLUSIONE

Bendare un indagato, come avvenuto nel caso di Gabriel Christian Natale Hjorth, pare in contrasto con la Costituzione e potrebbe configurare – ma sarà la magistratura a stabilirlo con certezza – una serie di reati. In particolare, il carabiniere che ha bendato l’indagato rischia di essere accusato di abuso di autorità contro arrestati o detenuti, violenza privata e, forse, di tortura.

Illecita è poi anche la diffusione dell’immagine dell’indagato in manette, oltre che bendato. Il responsabile – al momento non ancora individuato – rischia di subire sanzioni disciplinari.