Marta Deligia, Ilaria Pagliarulo: donne che si lasciano uccidere da uomini-bestia

di Elisa D'Alto
Pubblicato il 24 Settembre 2013 - 12:19 OLTRE 6 MESI FA
Marta Deligia

Marta Deligia

ROMA – Marta Deligia è stata strangolata a 26 anni del suo ex compagno. Ilaria Pagliarulo è morta a 20 anni dopo 7 giorni di agonia: il partner le aveva sparato. Nessuna delle due aveva denunciato, solo Marta aveva segnalato la vicenda ai carabinieri ma la denuncia non l’aveva sporta.

Due casi, solo gli ultimi in ordine di cronaca, di femminicidio: a qualcuno potrà sembrare un’insopportabile forzatura parlare di donne che si lasciano uccidere. Come se fosse colpa loro. Ma non è questo il senso: non denunciare una violenza subita non è mai un’attenuante per il partner che si trasforma in assassino, sia chiaro.

Ma queste due donne, Marta e Ilaria, sono state in grado di cogliere l’enorme rischio che correvano? Hanno subito riconosciuto l’uomo-bestia con cui condividevano la vita? Non sembra, a leggere i giornali, ed è proprio questo il lato più insidioso del femminicidio: molte donne non riconoscono la “bestia”, non si difendono, non denunciano. Esemplare la storia di Ilaria, raccontata dal Corriere della Sera:

Durante la loro convivenza, la ragazza aveva già subito — è la lettura degli inquirenti — angherie e soprusi. Più volte era stata picchiata, ma non aveva mai avuto il coraggio di denunciare il fidanzato. Forse per paura di ritorsioni nei confronti della sua famiglia che vive nell’altra ala della villa. La sera di domenica 15 settembre — secondo la ricostruzione — Ilaria, al termine dell’ennesimo litigio, era stata ferita da un colpo di pistola al fianco sinistro che le aveva perforato un rene. Si era medicata da sola in casa senza chiedere aiuto, tamponando al meglio la ferita. La mattina dopo la coppia aveva litigato ancora e lui le aveva sparato di nuovo. Il proiettile la colpì al torace. A quel punto Ilaria aveva chiesto aiuto alla madre che aveva telefonato al 118 e ai carabinieri.

Solo dopo il secondo proiettile Ilaria è andata in ospedale dove è morta, dopo 7 giorni di agonia. La storia di Marta, sempre dal Corriere:

A gennaio si era fidanzata con Giuseppe Pintus, 10 anni più grande di lei, disoccupato. Pochi mesi e già Marta confidava a un’amica: «Mi è sempre addosso, al bar si rabbuia quando qualcuno mi fa un complimento». Litigi, scenate, qualche schiaffo, settimane d’inferno e infine storia chiusa: «Lasciami perdere». Ma Giuseppe non si era rassegnato e insisteva. Stalker esemplare. Marta aveva chiesto consiglio ai carabinieri. ma senza fare denuncia. A fine agosto Giuseppe l’ha bloccata ancora per strada, l’ha strattonata. E allora lei è ritornata in caserma e il 6 settembre ha firmato una richiesta di intervento.

In questi casi la procedura prevede un intervento del questore, l’ammonizione formale a star lontano dalla vittima. Misura, questa, arrivata venerdì scorso a Pintus. Questa settimana doveva essere convocato: troppo tardi. Ha aspettato che Marta uscisse per andare a lavorare e l’ha strangolata.

“Femminicidio” lo chiamano i giornali. Semplificazione, come spesso accade, per raccontare quello che accade e sempre più spesso alle donne: uccise per gelosia, senso del possesso, incapacità dell’uomo di assimilare un rifiuto. La maggiore sensibilità al tema del femminicidio ha cambiato il codice penale con il reato di stalking e le recenti aggravanti, ma sembra aver fatto ancora poca presa sul terreno della psicologia, quella maschile e quella femminile.

Quella maschile, intesa come sistema mutevole di valori che prima o poi, si spera, renderà agli occhi della maggior parte degli uomini inconcepibile l’idea di decidere la sorte di una donna tramite la violenza, fisica e verbale. Un po’ come oggi il delitto d’onore sembra un reperto preistorico, e invece era parte del codice penale fine a pochi decenni fa.

Ma anche la sensibilità e la psicologia femminili. Quell’allarme che dovrebbe scattare nella testa di tutte le donne e che permette di distinguere comportamenti leciti e comportamenti illeciti. Non è lecito che un uomo picchi, urli, sbraiti, perseguiti, minacci. E paradossalmente è forse questo il terreno più difficile su cui si combatte la lotta al femminicidio: innestare nella testa delle donne la capacità di dire “no” a una relazione prima ancora che arrivino le manifestazioni violente.