Massimo Giuseppe Bossetti e i dubbi sulla traccia di Dna

di redazione Blitz
Pubblicato il 6 Luglio 2016 - 09:34 OLTRE 6 MESI FA
Massimo Giuseppe Bossetti e i dubbi sulla traccia di Dna

Massimo Giuseppe Bossetti e i dubbi sulla traccia di Dna

BERGAMO – Massimo Bossetti è stato condannato all‘ergastolo. Ma c’è chi non è convinto delle prove contro di lui. Qualche dubbio di tipo metodologico sulla formazione della prova regina, l’esame del Dna, resiste specie se il quesito è rivolto a un avvocato.

Sul processo in sé, in realtà una “farsa obbligatoria”, il più categorico e perplesso è il direttore di Libero Vittorio Feltri che non si capacita come le fragili prove indiziarie (tipico e frustrante è considerare la mancanza di alibi come una prova a carico), siano assurte a verità, suffragata peraltro dai pareri di “camici bianchi” (i genetisti) cui si riconosce una infallibilità assoluta per cui anche la ripetizione di un test assomiglia alla lesa maestà. E a rimetterci è un operaio sfigato, capro espiatorio perfetto.

Si sono scatenate contro questo poveraccio orde di giornalisti colpevolisti e ansiosi di fare strame della sua moralità nella speranza di creare intorno a lui – riuscendoci benissimo – un clima di odio. La verità non la conosco. Ma la sensazione è che se Bossetti, invece di essere un proletario sprovveduto, incolto e intontito, fosse stato un borghese arricchito da buoni studi oggi sarebbe libero. Nessuno avrebbe osato additarlo quale omicida. Un operaio sfigato è facile trasformarlo in bersaglio immobile e colpirlo, trascinarlo nel fango e lì abbandonarlo beandosi del clamore mediatico suscitato dalla sua condanna. Come cittadino mi sento a disagio per aver assistito a simile massacro. (Vittorio Feltri, Libero Quotidiano)

Qui e là in rete, sulla stampa, è più facile trovare  – a far breccia nel muro di unanimità colpevolista, riserve e appunti sul test del Dna che ha incastrato Bossetti, cioè la combinazione di materiale genetico nucleare associato a Dna mitocondriale. Il genetista Giardina non ammette critiche e mostra come un trofeo l’intuizione che ha fornito un profilo genetico del famigerato campione chiamato Ignoto 1.

“Vorrei ricordare che davanti a tracce biologiche così complesse come quelle trovate sugli indumenti di Yara l’esame per risalire al mitocondriale non si fa. Non succede praticamente mai. Noi lo abbiamo fatto soltanto per arrivare alla madre, non per identificare “Ignoto 1”. Bossetti è stato identificato attraverso il Dna nucleare. Il suo combaciava con quello di “Ignoto 1”, cioè della persona che ha lasciato la sua traccia biologica sugli indumenti della ragazzina. E non mi vengano a dire che lo si può trasportare: il Dna si trasferisce soltanto per contatto diretto. Tutto questo è inconfutabile”. (Emiliano Giardina intervistato da Giusi Fasano per il Corriere della Sera)

Alcuni avvocati e docenti di diritto non sono convinti da tanta assertività. Il caso è complicato, ma la legge parla chiaro: il Dna, secondo il codice di procedura penale, è un indizio valido solo a patto di  rispettare i crismi della “gravità” e della “precisione”: è sicuro che sia “preciso” – senza cioè alcuna possibilità di equivoco –  un profilo genetico composto da un mix di Dna nucleare e e Dna mitocondriale di uno sconosciuto?

Altro aspetto, che riguarda tutti, è la dubbia legittimità della ricerca di prove (in questo caso il Dna) “a strascico”, con corollario conseguente che siamo tutti colpevoli fino a prova contraria. Per il genetista Giardina, la casa di vetro, il falansterio dove ogni punto è illuminato e non c’è spazio per la riservatezza, la schedatura preventiva e totale, è il migliore dei mondi possibili.

“Io sarei favorevole a prendere il Dna di tutti! Chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere da una banca dati”, ha dichiarato Giardina. Poi dice che uno non si fida degli scienziati…