Massimo Giuseppe Bossetti, uomo tutto casa e lavoro o “senza freni inibitori”?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Giugno 2014 - 18:55 OLTRE 6 MESI FA
Massimo Giuseppe Bossetti, uomo tutto casa e lavoro o "senza freni inibitori"?

Massimo Giuseppe Bossetti

BERGAMO – Omicidio di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti è un uomo dalla vita comune e ripetitiva, trascorsa tra il lavoro e la famiglia, come dice lui, o una persona dalla condotta “riprovevole”, “senza freni inibitori”, dotato di una “indole malvagia”, come sostiene il giudice per le indagini preliminari di Bergamo, Vincenza Maccora?

Al momento l’unica cosa che incastra il muratore di 44 anni è il suo Dna. Lo lega a Giuseppe Guerinoni, padre di Ignoto Uno secondo le tracce genetiche trovate sugli indumenti intimi di Yara Gambirasio. E lo allontana da Giovanni Bossetti, marito di Ester Arzuffi, l’uomo che fino a pochi giorni fa credeva di essere il padre di Massimo e Laura Letizia, la sua sorella gemella.

Massimo Giuseppe Bossetti si racconta come un uomo tranquillo, dalla vita quasi monotona. Per questo, dice, ricorda cosa fece il 26 novembre del 2010, il giorno in cui Yara venne uccisa.

“Mi trovavo a lavorare a Palazzago, nel cantiere edile di mio cognato. Subito dopo il lavoro sono tornato a casa dalla mia famiglia con il furgone”.

Il perché si ricordi proprio di quel giorno, il presunto assassino di Yara lo spiega così:

“Conduco una vita normale, dedicandomi al lavoro o alla famiglia. In qualche modo una vita ‘ripetitiva’. Esco la mattina preso per andare in cantiere, mangio un pasto veloce, sempre lavorando, ritorno a casa nel pomeriggio, faccio una doccia, mi dedico ai figli e spesso dopo cena mi addormento sul divano per stanchezza. Esco di rado e sempre in compagnia di mia moglie e i miei figli. La domenica abitualmente incontro i parenti e i genitori ai quali sono molto legato”.

Una vita ripetitiva appunto, incolore. Anonima. Versione che contrasta con quanto scrive il Gip descrivendo la condotta dell’arrestato “particolarmente riprovevole, per la gravità e superficialità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso d’umana pietà”. Una condotta insomma, caratterizzata dalla “mancanza di freni inibitori” da parte di un uomo “dimostratosi capace di azioni di tale ferocia” nei confronti di “una giovane ed inerme adolescente”. Nell’interrogatorio Bossetti ha cercato di confutare queste accuse: “Non avrei mai potuto fare un gesto simile, non sono capace di far male a nessuno, ho dei figli della stessa età di Yara”. Parole che, afferma il Gip, “non sono idonee a scalfire l’indizio principale”, vale a dire il suo Dna addosso alla povera Yara.