Maturità. “Lucca”: Ungaretti sensuale tra “coscie” e “morsi bestiali”

di Dini Casali
Pubblicato il 22 Giugno 2011 - 12:08| Aggiornato il 1 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Sempre presente nel toto-tema ad ogni edizione della prova scritta d’italiano alla Maturità, Giuseppe Ungaretti è stato scelto per l’analisi del testo, una delle tipologie della prova stessa. Non è certo una novità il ricorso all’ermetico più compreso del Novecento: il frenetico passa-parola divinatorio che precede ogni esame lo dava come vincente, al massimo piazzato. Stavolta è stata scelta la poesia “Lucca”, estratta dalla prima importante raccolta “L’Allegria”, uscita nel 1931. Occhio alla data. Gli anni Trenta funzionano da Colonne d’Ercole nei programmi scolastici: forse “Il Secolo breve” di Hobsbwam (altra traccia di quest’anno)  viene interpretato un po’ troppo alla lettera, restringendo il Novecento al massimo fino alla Seconda guerra Mondiale. La produzione poetica dell’altro Novecento è passata invano, desaparecida agli studenti come ai professori. Caproni, Pasolini, Penna (non sarà mai oggetto di esame) Luzi, Raboni … (l’elenco sarebbe troppo lungo) non pervenuti.

Eppure scopo della prova d’esame è verificare, attraverso l’analisi testuale, la capacità dell’esaminando di comprendere un testo poetico. Al limite di un testo poetico che non ha mai incontrato prima. Dovrebbe essere in grado, il maturando, di sciogliere i versi, scoprire i nessi, cogliere l’originalità letteraria, scoprire la densità della parola. Eventualmente offrire uno sguardo sul contesto letterario, storico, estetico. Purtroppo solo il contesto emergerà nelle prove, anche dei migliori. I pochi che hanno scelto il tema (quasi tutti avranno scelto il più facile perché sufficientemente generico e attuale Warhol) sappiamo già su cosa si diffonderanno. Scommettiamo che parleranno dell’esperienza dolorosa della guerra, del compianto per la perdita di tanti commilitoni, della fragilità dell’esistenza, della precarietà del vivere ecc…Insomma la poetica con la P maiuscola di Ungaretti.

Chissà quanti saranno stati, invece a farsi sedurre, o turbare perché no, dalla coscienza di una repressione, di una clausura insostenibile tra le mura antiche di Lucca, del richiamo prepotente della carne, del desiderio fisico, della voluttà. “Ne ho un tormento e un desiderio come chi si scostasse da un incesto; – ma non può dominare la fatalità dei suoi sensi”!

E ancora: “Queste giornate, in questi luoghi, mi fanno soffrire, e mi coprono di voluttà, e mi tengono limitato come in una bara”. Si potrà dire in un tema d’esame che Ungaretti spasimava e ululava come un animale in calore tenuto alla catena.   “…e le coscie delle donne sorprese a / fecondarsi di te in una gran perdizione di / sguardi e di morsi bestiali…”: sono versi decisamente più espliciti e carnali dei laconici esiti ermetici. Meno misura, più passione: e una pulsione di morte non tragica, ma risolta, conclude la poesia . ” …il sonno come / una pace vera di morte.”

Di seguito il testo della poesia Lucca.

Ecco Lucca, calda, crudele, serrata, e verde.

Mi sento qui nella carne di ogni persona che in-

contro.

Esamino i connotati come se chi passa portasse via,

nei suoi panni, il mio corpo. E’ la mia terra, è il mio

sangue. Ne ho un tormento e un desiderio come chi

si scostasse da un incesto; – ma non può dominare la

fatalità dei suoi sensi!

Queste giornate, in questi luoghi, mi fanno soffrire,

e mi coprono di voluttà, e mi tengono limitato come

in una bara.

Riprenderò la via del mondo. Andrò dove sono fo-

restiero: Dove non è peccato, sacrilegio, essere curiosi

di sè nelle cose che godi.

Qui finirei col riprendere la zappa, col rimescolarmi

ai contadini, col dimenticare le acredini e i miracoli

delle lettere, col lodare, al sole l’alto grano d’oro,

mentre si falcia, e le coscie delle donne sorprese a

fecondarsi di te in una gran perdizione di sguardi e di

morsi bestiali; e non sai più se è una pesca o labbra

quella forma che hai divorato, se non fosse l’odor for-

te della donna; e poi al sole che ti dà un abbandono,

un abbandono così esteso, che accogli il sonno come