I genitori non pagano la mensa scolastica? E allora torniamo al panino da casa

di Elisa D'Alto
Pubblicato il 9 Ottobre 2012 - 09:53 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – E se la soluzione fosse il ritorno al vecchio panino da casa? Alla “schiscetta” come la chiamano al Nord, con il pranzo preparato da mamma? Un dato di cronaca: i genitori morosi, quelli che non pagano la mensa dei figli, sono un popolo in netto aumento. Soprattutto nei comuni del ricco Nord dove, d’altra parte, la maggiore diffusione del lavoro femminile rende il doposcuola la soluzione privilegiata. Non pagano perché non hanno soldi, non pagano perché fanno i furbi. Il fenomeno è contagioso: se il compagno di mio figlio mangia gratis anche se i genitori non pagano perché io devo affrettarmi a saldare il conto ogni mese? Un circolo vizioso che inizia ad impensierire parecchi Comuni che si ritrovano migliaia di euro di debito nei confronti delle ditte che si occupano della refezione.

Il problema, va detto, non è di facile soluzione. C’è chi semplifica: “a chi non paga, nessun servizio”. Ma come si fa ad affamare i bambini? C’è stata qualche amministrazione che ha optato per questa via: ad Adro come a Vigevano. Non paghi? Niente pranzo. I sindaci di questi due paesi, leghisti entrambi, dicono che il metodo funziona: “Pur di non fare brutta figura chi può paga”, ha detto il sindaco di Adro Oscar Lancini suggerendo, per altro, un’altra domanda: e chi non può? Ma tra i non pagatori ci sono anche tanti furbi. Lo lascia intendere un altro sindaco, quello di Cavenago, in Brianza, Sem Galbiati: “Quando 120 su 600 sono inadempienti noi possiamo poco”.

A Padova e a Rho (Milano) i sindaci hanno deciso di servire comunque il pranzo a tutti. Ma per spronare la gente a pagare sono stati messi in campo metodi fantasiosi. Flavio Zanonato, primo cittadino leghista di Padova, ha spedito 1200 lettere con la minaccia di un interventi di Equitalia. Lo spauracchio dell’esattore delle tasse alla porta ha funzionato e molti hanno pagato. Anche a Rho, 600 casi di insolvenza, minacciano il recupero coattivo del credito. Insomma davanti al problema c’è chi minaccia e chi affama. In mezzo, i bambini. E le loro famiglie che per ogni figlio spendono a seconda della fascia di reddito anche 100 euro al mese. Che si raddoppiano o triplicano, secondo il numero dei bambini in casa. Non è proprio una spesa da poco. E chi non può permettersi la retta ma non ha neanche la possibilità di far pranzare il figlio a casa perché entrambi i genitori lavorano? Un tempo il panino da casa era prassi in molti istituti, pubblici e privati. Poi sono arrivate leggi più stringenti, e a ragione. Nessuno può controllare se i cibi portati da casa siano igienicamente a norma, senza contare che i bambini a mensa spesso assaggiano il piatto del vicino. E in caso di allergie è meglio evitare.

La terza via potrebbe essere quella che vogliono sperimentare a Cavenago: una parte della sala mensa dedicata a chi il pranzo se lo porta da casa. I bambini mangiano, i genitori risparmiano, i Comuni non avrebbero debiti. Naturalmente qualcuno ha già protestato: “Così si costruisce la mensa dei poveri”. Ma se anche Tata Lucia (quella del programma tv Sos Tata) benedice l’idea si possono tranquillamente ignorare anche i residui sensi di colpa: “Se invece di far passare il messaggio che ‘loro stanno di là perché sono dei poveracci e non pagano’ i presenta la cosa come una possibilità (‘Puoi mangiare il cibo della mensa oppure puoi portarlo da casa’) non ci saranno problemi. Fior di scuole private permettono di consumare la schiscetta su un tavolo separato in mensa, lasciando alle famiglie la scelta”.