Michele Misseri: “Ho ucciso io Sarah Scazzi. Da piccolo sono stato abusato”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Agosto 2020 - 14:38 OLTRE 6 MESI FA
Michele Misseri: "Ho ucciso io Sarah Scazzi. Da piccolo sono stato abusato"

Michele Misseri: “Ho ucciso io Sarah Scazzi. Da piccolo sono stato abusato” (Foto Ansa)

“Ho ucciso io Sarah Scazzi. Da piccolo sono stato abusato”. Lo racconta Michele Misseri che in una lettera parla della sua vita del giallo di Avetrana.

In una lettera pubblicata nel libro sul delitto di Avetrana, scritto da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, Michele Misseri ribadisce ancora una volta di aver ucciso lui Sarah Scazzi. E non sua moglie e sua figlia, entrambe in carcere condannate all’ergastolo in Cassazione.

Michele Misseri, Sarah Scazzi, Sabrina, Cosima… Il 26 agosto 2020 saranno trascorsi esattamente dieci anni dalla morte di Sarah Scazzi e dal delitto di Avetrana, che divenne un caso nazionale e che durò mesi su mesi. Oggi Michele Misseri, che fece ritrovare il corpo della quindicenne in diretta durante Chi l’ha visto?, torna a dichiararsi colpevole. Lo fa in una lettera dal carcere, dove sta scontando una pena di otto anni, in cui ripercorre la sua drammatica vita, fatta di abusi e di violenze. 

La missiva di Michele Misseri è stata pubblicata in esclusiva nel libro “Sarah” di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni (Fandango, pp. 324). 

Ecco alcuni passaggi della lettera di Misseri.

“Questa è la mia storia.Avevo circa cinque, sei anni quando mio padre mi mandò in una masseria per fare il pastorello. In quella masseria c’era una famiglia che non aveva figli. Non sapevano cosa fosse una famiglia, per questo venivo maltrattato.

Mio padre era un padre padrone e beveva molto, ma un bambino di soli cinque, sei anni come poteva fare a badare a cento-cinquanta pecore? Scappavano da tutte le parti, e io piangevo. E allora prendevo botte, tante botte, così tante botte che una sera, mentre stava per fare buio, scappai dalla fattoria verso casa.

Stava per fare notte, ormai ero certo che stavo andando a casa per riabbracciare mia madre e i miei sette fratelli, ma mentre andavo verso casa su una salita vidi da lontano un uomo in bicicletta.

Non lo avevo riconosciuto, ma era mio padre.

Ricordo molto bene che gli dissi: “Papà mi hanno mandato via”. Gli dissi una bugia. La cosa più brutta è che non mi portò verso casa. Mi portò di nuovo alla masseria. Ricordo che a mio padre gli dissero “No, noi non l’abbiamo cacciato, non ne sappiamo niente” e così mio padre mi picchiò forte, forte… (…)

Odiavo tanto mio padre. Un giorno lui raccontò tutto l’accaduto a mia madre e così un giorno arrivò il mio Angelo Cu- stode, che era mia mamma. Mi fece tornare a casa, ma mio padre dopo che avevo compiuto dieci anni mi mandò in un’altra masseria, e tutto tornò come prima. Il mio Angelo Custode questa volta non poteva farci nulla. Ormai avevo compiuto tredici anni. (…)

Un’altra volta però il mio Angelo mi salvò: tornai in famiglia, mi segnai a una scuola serale di sole due ore la sera, era la Scuola Mario Morleo di Avetrana. Anche se erano solo due ore mi andava bene. Mi vergognavo che non sapevo nulla. Non sapevo scrivere nemmeno il mio nome, ma poi cominciai a imparare a scrivere. Era troppo bello. Andavo a scuola, avevo degli amici. Era anche molto strano.

Quando ho compiuto quindici anni, mio padre mi mandò in un’altra masseria di nome Particella sempre ad Avetrana, dove mi facevano dormire dentro a un casolaio dove c’erano i formaggi in stagionatura. Non stavo per niente bene. Ho subito violenze di qualsiasi genere dal figlio del massaio. (…).

Questa volta me ne sono andato da solo da quella brutta storia. Mi trovai io stesso una masseria a Torre Santa Susanna, dove mi hanno voluto veramente bene. Il massaio aveva quattro figli, due femmine e due maschi. Ada era la più grande, ed era un anno più piccola di me: io avevo diciotto anni, lei ne aveva diciassette. Mi ero quasi innamorato, solo che ero timido, anche lei era timida come me. Avevo deciso che un giorno l’avrei sposata. Sfortunatamente suo papà si ammalò, doveva andare in ospedale e così venne il nonno paterno a gestire la fattoria. Successe una cosa brutta: il nonno paterno mise incinta Ada, sua nipote, sangue del suo sangue. (…)

Poi, quando ho compiuto vent’anni, sono partito militare per Savona. Mi segnai a scuola, e mi fecero saltare tre anni per farmi prendere la quinta elementare: per questo non ho fatto molta scuola, e faccio tanti errori. Nel 1974 sono tornato dal militare e andai a lavorare in una cava, dove facevano il tufo. Vi rimasi fino al 1976. Poi una mattina, ricordo ancora che quel giorno pioveva, andai a sostituire mio fratello che lavorava in un’azienda agricola. (…) C’erano dieci donne che stavano facendo la vendemmia. E lì per la prima volta incontrai mia moglie Cosima.

Michele Misseri racconta del delitto di Sarah Scazzi.

Poi il 29 ottobre del 1977 ci siamo sposati e nel mese di settembre del 1979 ce ne siamo andati in Germania, ad Hamburg. Eravamo una famiglia felice (…). Nel 2001 sono tornato anche io in Italia, lavoravo con mia moglie, eravamo tanto felici. Mia moglie non era quello che hanno fatto vedere in TV. Non era quella, Cosima, non era così nemmeno Sabrina. Non erano come hanno detto in televisione.

Io so solo che ci sono due innocenti in carcere, che stanno piangendo lacrime d’innocenti. (…) Io ho ucciso Sarah Scazzi. L’unico colpevole sono io. Sono stato malconsigliato, e poi gli inquirenti non mi hanno più creduto. Ma non è come tutti pensano”.