Ministeri, il pacco regalo è morto: il primo Natale senza

di Riccardo Galli
Pubblicato il 19 Dicembre 2017 - 10:09 OLTRE 6 MESI FA
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Per questo Natale basta ai pacchi regalo dei ministeri (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Il pacco regalo dei ministeri è morto: sarà il primo Natale senza. Commessi stracarichi e via vai di furgoncini adibiti alle consegne. E poi stanze trasformate in magazzini per cesti colmi di prelibatezze e primizie, penne stilografiche, sculture e soprammobili di dubbio gusto ma indubbio valore economico, foulard, computer, telefonini e chi più ne ha più ne metta. C’erano e non ci sono più. Erano i regali di Natale destinati ai burocrati e il dorato mondo che li circondava. Un mondo ormai passato e che ha lasciato dietro di sé la desolazione di un festeggiamento triste, almeno nei ministeri dove ormai, di regali, non ne arrivano più per legge.

In primis fu Romano Prodi che nel dicembre del 2007, giusto 10 anni fa, stabilì con una circolare che tutti i regali di valore superiore a 300 euro, ricevuti anche in occasione di visite ufficiali, dovessero essere conferiti al patrimonio pubblico. Pochi probabilmente lo presero sul serio abituati a decenni di regalie oltre le fantasie più incredibili e, assuefatti ad un costume che era diventato metodo, dovere e status symbol, molti videro in quella circolare una delle tante iniziative di facciata. Ma, col senno di poi, si sbagliavano.

Se ‘il mortadella’ aveva infatti deciso di intervenire solo sui ministri, con l’arrivo di Mario Monti il divieto fu esteso a tutte le strutture ministeriali, ed era il “divieto di accettare regali e omaggi di qualsiasi natura di valore superiore a 150 euro, tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio. In ogni caso, i regali di valore superiore devono essere restituiti, ovvero ceduti all’Amministrazione di appartenenza”. E il mondo cambiò. Cambiò così tanto che da misura diretta e chiara del potere di ogni mandarino oggi i regali sono diventati quasi una vergogna da nascondere.

Così nei corridoi dei ministeri, dove oltretutto incombe lo spettro delle prossime elezioni e per questo tutti sono in attesa della nuova mappa del potere con le relative ricadute sino alla scelta dell’ultimo usciere, non si respira più quell’atmosfera tipica di qualche anno fa. Qualcuno ci ha rimesso realmente, e cioè quel mondo che viveva anche grazie al costume dei regali a profusione, vale a dire quei commessi e quei fattorini che consegnavano, i magazzinieri che stoccavano e via elencando. Figure che hanno dovuto riadattarsi e riarrangiarsi. Quel che più manca è però l’atmosfera e l’aneddotica che non tornerà più. Raccontano su La Stampa Alfonso Celotto e Giuseppe Salvaggiulo alcuni episodi apparentemente tratti da un film ma che invece oltre ad essere reali erano anche la norma.

Proprio Prodi, prima di emanare la fatidica direttiva, ricevette nientemeno che un fucile d’oro, regolarmente protocollato e archiviato dagli uffici di Palazzo Chigi, dall’Emiro di Abu Dhabi. Non l’unico regalo esplosivo e dorato che compaia nelle cronache, dono simile ricevette anche Arturo Parisi che si vide recapitare al ministero della Difesa una pistola d’oro regolarmente funzionante. E poi Silvio Berlusconi, che dei regali di Natale aveva fatto una disciplina di vita con rigide regole affidate alle segretarie e un registro per evitare imbarazzanti sovrapposizioni parentali, che si vide recapitare a Palazzo Chigi una scimitarra tempestata di pietre preziose. “Francesco Cossiga – racconta il quotidiano di Torino -, inflessibile, restituiva i regali ai mittenti. Alcuni ministri avevano la buona abitudine di distribuirli tra i collaboratori. Emma Bonino organizzava una riffa. Romano Prodi li metteva all’asta a fini di beneficenza. Un noto politico siciliano, che aveva ricevuto da un riconosciuto capomafia un quadro di Guttuso, per uscire dall’imbarazzo di una restituzione che sarebbe suonata offensiva, con un colpo di genio lo regalò alla figlia del mafioso per il suo matrimonio”. Tutto questo, ormai, è storia.