Mose, nelle carte anche il nome di Enrico Letta. E spunta collegamento con Expo

di redazione Blitz
Pubblicato il 11 Giugno 2014 - 14:41 OLTRE 6 MESI FA
Mose, nelle carte anche il nome di Enrico Letta. E spunta collegamento con Expo

Mose, nelle carte anche il nome di Enrico Letta. E spunta collegamento con Expo

VENEZIA – Nelle carte dell’inchiesta Mose continuano a spuntare nomi di big della politica romana, o amministratori locali, che non risultano indagati e che affidano a smentite ogni possibile accostamento del loro nome alle indagini in corso. Compreso l’ex presidente del Consiglio, Enrico Letta (non indagato) che nega categoricamente: “Cado dalle nuvole. Mai ricevuto un euro”. Intanto a Milano i pm hanno avviato un terzo filone di indagini sull’Expo. La Mantovani, coinvolta nello scandalo veneziano, avrebbe utilizzato lo stesso sistema illecito per ottenere commesse in Veneto e Lombardia.

Il nome di Enrico Letta sarebbe emerso dal verbale di Roberto Pravatà, per 21 anni diretto collaboratore e numero due di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. L’interrogatorio è stato secretato ma, secondo quanto trapelato su diversi organi di stampa, Pravatà avrebbe raccontato agli inquirenti di essere stato allontanato dal Consorzio proprio perché in disaccordo sui metodi utilizzati dai vertici per acquisire consenso. E di essere stato convocato dallo stesso Mazzacurati che lo avrebbe informato su come il Consorzio avrebbe dovuto

“concorrere al sostentamento dell’onorevole Enrico Letta, che si presentava come candidato per un turno elettorale attorno al 2007, con un contributo di 150 mila euro”.

E ancora:

“Il presidente mi disse che Letta aveva come intermediario per il Veneto, anche per tale finanziamento illecito, il dottor Arcangelo Boldrin, commercialista con studio a Mestre. In effetti venne predisposto un incarico fittizio per un’attività riguardante l’arsenale di Venezia”.

Accuse che hanno fatto indignare Letta che, raggiunto dal quotidiano la Repubblica, si difende:

“Cado totalmente dalle nuvole tutti i finanziamenti che ho ricevuto nelle mie campagne elettorali sono sempre stati regolarmente denunciati e registrati, e dunque sono pubblici”.

L’altro nome eccellente fatto da Pravatà è quello di Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato:

“Assicurava continuità ai finanziamenti per il Mose – racconta Pravatà – si adoperava perché nei giorni di approvazione della finanziaria fossero inserite le voci riguardanti la salvaguardia di Venezia e il Mose”

Il suo interessamento, racconta ancora l’ex vicepresidente del Consorzio, sarebbe stato ricompensato in vario modo:

“Mi risultano viaggi in Scozia, Romania, sul Danubio, a spese del Consorzio. Partecipavano anche esponenti politici nazionali”

Nei giorni scorsi si erano difesi dalle accuse anche Niccolò Ghedini e Altero Matteoli. Ad accusare quest’ultimo è stato l’ex presidente Mazzacurati in uno dei verbali legati alle 110mila pagine dell’inchiesta:

“Portai soldi a Matteoli nella sua casa in Toscana. Mi pare, nelle campagne elettorali del 2010 e del 2013″.

Stesse accuse anche nei confronti dell’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari:

“Mi chiese di aiutare un’impresa che si chiamava Marinese e una sponsorizzazione di 300mila euro per la squadra di calcio. Però, insomma, una roba così”

Sempre tra i politici veneti compare poi il nome di Flavio Tosi, il sindaco leghista di Verona. A parlare è Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, primo socio del Consorzio Venezia Nuova che ha puntato il dito anche contro Renato Brunetta, al quale la sua azienda avrebbe versato per le comunali 2010 a Venezia 50mila euro: “Abbiamo accontentato anche lui, in misura minore”. Quanto a Tosi, Baita avrebbe riferito:

“Ho dato all’ingegner Dal Borgo (uno dei 35 arrestati, ndr) il rimborso di un versamento che ha fatto a favore del sindaco Tosi, pari a 15 mila euro”. Salvo poi precisare che “in questo caso il finanziamento era regolare”.

E sarebbe proprio la Mantovani, secondo gli inquirenti, il presunto collegamento tra le due inchieste milanese e veneziana. Il bandolo della matassa, secondo l’accusa, risalirebbe al luglio 2012, quando un rappresentante della stessa Mantovani fece visita a Rognoni, cinque giorni prima che la gara per le infrastrutture di Expo venisse vinta dallo stesso gruppo di Baita, con un clamoroso ribasso del 41,80%.

In quell’incontro Rognoni avrebbe ricevuto un pizzino intimidatorio (“Sappiamo che siamo andati bene sulla parte qualitativa…”) per  distoglierlo da qualsivoglia intento di ostacolare la scelta del “vincitore” già designato o presunto tale: la Impregilo di Massimo Ponzellini, finito però nel frattempo in carcere per lo scandalo Bpm.

Lo stesso Baita, sulla cui deposizione si regge tutto l’impianto dell’inchiesta Mose, ha precisato quale fosse il sistema utilizzato: prima un’offerta con un forte ribasso, per poi tentare di recuperare facendo aumentare le spese sulle varianti, utilizzando l’arma dei ritardi come ricatto.