MILANO – La nuova perizia sui reperti ritrovati 28 anni fa sul corpo e sull’auto della studentessa Lidia Macchi, uccisa nel gennaio del 1987 con 29 coltellate a Cittiglio (Varese), e in particolare le analisi sul Dna scagionano Giuseppe Piccolomo, l’uomo già condannato all’ergastolo per il cosiddetto ‘delitto delle mani mozzate‘ avvenuto nel 2009 nella provincia di Varese e indagato da un paio d’anni anche per l’omicidio della giovane.
Un anno fa circa, la Procura Generale di Milano, dopo aver avocato le indagini di cui era titolare la Procura di Varese, aveva chiuso l’inchiesta nei confronti di Piccolomo (già condannato all’ergastolo per aver ucciso nel novembre del 2009 la pensionata Carla Molinari) contestandogli anche l’uccisione di Lidia Macchi, caso rimasto irrisolto da quasi trent’anni.
Dopo la chiusura delle indagini, l’avvocato della famiglia Macchi ha chiesto e ottenuto che venissero effettuati una serie di nuovi accertamenti su alcuni reperti come peli, capelli, lettere anonime inviate alla famiglia della ragazza e ritagli degli abiti di Lidia Macchi sporchi di sangue e del sedile della sua auto.
La consulenza ha però escluso che il Dna rintracciato sia compatibile con quello di Piccolomo. Peli e capelli, poi, sono tutti riferibili al nucleo familiare della studentessa, a parte uno che, tuttavia, non è riconducibile a Piccolomo.
L’uomo ha chiesto di essere interrogato e verrà sentito nei prossimi giorni. A suo carico resta, comunque, un quadro indiziario e la Procura Generale, dopo l’interrogatorio, deciderà se archiviare la sua posizione o chiedere il rinvio a giudizio.