Omicidio Siani, il Procuratore D’Alterio racconta: “Dava fastidio ai clan, non l’hanno ucciso solo per un articolo”

Pubblicato il 22 Settembre 2010 - 16:43 OLTRE 6 MESI FA

Giancarlo Siani

Armando D’Alterio, procuratore della Repubblica di Campobasso, è  il magistrato che nel 1994, quando rivestiva l’incarico di sostituto alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, riapri’ le indagini sull’omicidio del giornalista Giancarlo Siani. Fu grazie al suo intuito e alla sua tenacia che l’inchiesta, piu’ volte impantanata in piste fasulle, approdo’ finalmente alla identificazione e alla condanna dei responsabili.

A 25 anni dalla morte del cronista, D’Alterio ricorda la figura del cronista e lo scenario del delitto.

“Siani in realta’ l’ho conosciuto personalmente sia pure di sfuggita – racconta il Procuratore all’Ansa –  Era il 1984, il periodo immediatamente successivo alla strage di Torre Annunziata, e lo incrociavo nei corridoi della procura a Castel Capuano. Non mi sembrava il ragazzo timido che descrivono. Tutt’altro, lo vedevo convinto, sicuro di se’, tanto che in un primo momento per come lo vedevo muoversi immaginai addirittura che fosse un poliziotto”.

Dalle indagini su Siani, ricorda D’Alterio, è emersa la figura di  “un giovane cronista, ricco di entusiasmo e dalla eccezionale spinta etica, che era alla base non solo del suo lavoro di giornalista. Mi è rimasto impresso il racconto che di Siani mi fece un giovane collega della procura, Luca Semeraro, il quale da ragazzino aveva giocato in una squadra di pallavolo allenata da Giancarlo. Una volta Semeraro si abbandonò a una esultanza con un giro di campo per aver segnato il punto decisivo e Siani lo rimprovero’: ”gli avversari non si irridono, bisogna rispettarli”.

Secondo il magistrato non è possibile che Siani sia stato ucciso “solo” per l’articolo in cui svelava che il boss Valentino Gionta era stato tradito dai suoi alleati Nuvoletta : “Non lo penso affatto, quell’articolo fu solo la causa scatenante dell’omicidio. Del resto quando decisero di uccidere Siani, dicevano chiaramente che cio’ andava fatto anche per tutti i fastidi che con il suo lavoro di corrispondente da Torre Annunziata aveva dato al clan. E di questo i capi ne parlavano tranquillamente ai gregari, una circostanza insolita perche’ non capita mai che i boss, ovvero i generali, quando ordinano un omicidio ne spieghino le ragioni piu’ delicate ai ”soldati”.

Siani, piuttosto,  fu ucciso non solo per quella rivelazione ma per tutto quando andava scrivendo, e per aver cercato con tenacia di documentare le collusioni con i colletti bianchi: “Questo – racconta D’Alterio -ò  e’ dimostrato con chiarezza dall’altro filone nato dall’inchiesta Siani, ovvero il processo per associazione camorristica che ha viso, tra l’altro, coinvolti e condannati tre ex sindaci di Torre Annunziata per reati di pubblica amministrazione e uno di essi anche per associazione mafiosa Per quello che e’ stato possibile ricostruire, quale era il modo di lavorare di Siani? –

Sul paragone tra il giornalista ucciso e Roberto Saviano il magistrato precisa: “Siani e Saviano sono comunque figli di tempi diversi. Tra i meriti di Saviano c’e’ soprattutto quello di aver fatto capire all’opinione pubblica che non esiste la camorra stracciona, ma che la camorra e’ un fenomeno che condiziona l’economia, che ha messo in piedi un sistema ramificato di collusioni. L’attenzione su Saviano non deve calare: Lo Stato sta facendo la sua parte, mi preme sottolinearlo, ma occorre che tutti, istituzioni, Stato, societa’, non allentino la tensione”.