Palermo, morì azzannato da cinghiale. Regione condannata: 400mila euro di risarcimento agli eredi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Ottobre 2019 - 11:24 OLTRE 6 MESI FA
Un cinghiale, Ansa

Un cinghiale (foto d’archivio Ansa)

ROMA – La Regione Sicilia è stata condannata a pagare un risarcimento di quasi 400mila euro agli eredi di Salvatore Rinaudo, 77 anni, che morì azzannato da un cinghiale nel suo terreno di Cefalù, Palermo, lo scorso 8 agosto 2015.

Secondo il giudice del Tribunale di Palermo, scrive l’Agi, la morte del settantasettenne fu responsabilità dell’inerzia dell’amministrazione regionale che non aveva adottato nessuna misura per frenare lo sviluppo e la proliferazione dei cinghiali.

È per questo che la Regione Sicilia è stata condannata in sede civile a pagare un risarcimento di poco meno di 400 mila euro agli eredi della vittima.

Le motivazioni della sentenza del giudice monocratico della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, Monica Montante, sono un duro atto d’accusa contro l’amministrazione di Palazzo d’Orleans.

Il giudice ha accolto le richieste e le tesi degli avvocati Giuseppe Muffoletto e Maurizio Di Chiara, legali di Rosa, Antonino e Maria Concetta Rinaudo, rispettivamente vedova (e madre degli altri due) e figli di Salvatore.

Rosa Rinaudo tra l’altro rimase ferita e sotto choc, perché fu pure lei assalita mentre tentava di soccorrere il marito. Nulla è stato fatto, sostiene il tribunale, dall’assessorato regionale all’Agricoltura, per affrontare il gravissimo problema della incontrollata e rapida proliferazione dei cinghiali, che sta flagellando in particolare il territorio del Parco delle Madonie, nell’omonima catena montuosa che sorge tra le province di Palermo e Messina.

I capi presenti erano stimati in tremila unità nel 2010, seimila nel 2015 e oggi si sono ulteriormente moltiplicati. Il giudice Montante rileva che, a riprova delle responsabilità della Regione, il 10 agosto 2015, due giorni dopo la tragica fine di Rinaudo, fu approvata una legge regionale, la numero 18, “il cui articolo 1 – si legge in sentenza – ha previsto che, nel caso di abnorme sviluppo di singole specie selvatiche o di specie domestiche inselvatichite, tale da compromettere gli equilibri ecologici o tale da costituire un pericolo per l’uomo o un danno rilevante per le attività, possano essere predisposti piani di cattura odi abbattimento”.

Ma anche prima di quella legge, modificata e votata in fretta e furia, le regole c’erano: “L’assessorato è rimasto inerte, non avendo adottato ed eseguito i piani di intervento mirato che, ove posti in essere, avrebbero potuto evitare l’ evento dannoso, di per sé prevedibile sotto il profilo della imputabilità soggettiva”. E ancora: “Nei parchi e nelle riserve naturali istituiti dalla Regione, ove si verifichi un abnorme sviluppo di singole specie selvatiche, gli enti gestori delle aree naturali protette predispongono piani selettivi, di cattura e/o di abbattimento”. Nonostante però gli appelli, gli inviti e i solleciti dello stesso ente Parco e dei Comuni, nulla è stato fatto: cosa che integra una “concreta condotta omissiva imputabile all’assessorato, dotata di efficienza causale rispetto al decesso di Rinaudo Salvatore”. 

Fonte: Agi.