Palermo, la banda “spacca ossa” per truffare le assicurazioni: i racconti dell’orrore. Altri 16 arresti

di Antonella del Sordo
Pubblicato il 16 Maggio 2019 - 12:08| Aggiornato il 25 Aprile 2021 OLTRE 6 MESI FA
Palermo, la banda "spacca ossa" per truffare le assicurazioni: i racconti dell'orrore. Altri 16 arresti

Palermo, la banda “spacca ossa” per truffare le assicurazioni: i racconti dell’orrore. Altri 16 arresti

Si allarga l’inchiesta e si moltiplicano le testimonianze

Gli “spacca ossa”: rompevano arti per truffare le assicurazioni. 600 euro per un arto e 1000 per due.

Da quando è partito lo scandalo ad Aprile scorso, abbiamo letto e ascoltato di tutto. Dalle intercettazioni e dalle ricostruzioni delle vittime, esce un quadro abominevole. Da un parte l’organizzazione diabolica, diffusa e capillare: bande organizzate per quartiere con reclutamenti seriali. Poi le vittime, reietti della società o perseguitati da problemi economici. Poi gli esecutori materiali delle “mutilazioni”, nelle stanze degli orrori. Poi i complici negli ospedali, dove le vittime veniva portate per essere assistite e refertati dopo i “falsi incidenti”. E infine: le assicurazioni. E il Dio Denaro. E qui mi fermo, sperando che la giustizia faccia il giusto corso e vi siano, per tutti, pene esemplari.

Certo è che in questa storia c’è talmente tanto, troppo, di tutto che se Dante fosse ancora in vita, si vedrebbe costretto a ridisegnare i gironi dell’inferno. E dedicarne un decimo tutto per loro: agli spacca ossa. 

LA NOTIZIA DI OGGI

– Oggi ne hanno arrestati 16, lo scorso 15 aprile 42, l’8 agosto 2018 altri 11: 69 arresti in 9 mesi e quasi trecento indagati. Succede a Palermo, dove le forze dell’ordine (stavolta i carabinieri, nelle due operazioni precedenti Polizia e Guardia di finanza) hanno sgominato gruppi criminali che truffavano le assicurazioni organizzando finti incidenti stradali, ma con feriti veri assoldati in cambio di qualche centinaio di euro e disposti a farsi fratturare le ossa.

Le prime indagini sono partite dalla morte di un extracomunitario, nel gennaio 2018, in seguito alle ferite riportate dalla banda degli “spacca ossa”. E la storia continua. “Ero in cattive condizioni economiche, lavoravo al bar Kent di Capaci e ho saputo che c’era un tale Alessio che faceva parte di un’organizzazione che simulava incidenti stradali”, dice uno dei “cuccioli”, come venivano chiamate le vittime dai componenti dell’organizzazione sgominata oggi nell’operazione denominata Over.

“Alessio mi chiese se fossi interessato a partecipare ad un finto sinistro e mi disse che mi sarei dovuto far rompere uno o più arti. Per non farmi cambiare idea, mi inviò un messaggio intimandomi di non tirarmi indietro. Alla fine ho ceduto alle sue richieste”. L’incidente fu organizzato il 30 ottobre scorso. “E’ lo stesso Alessio che a bordo di una Fiat Panda – racconta la vittima – mi venne a prendere a Capaci e mi portò a Palermo in viale Michelangelo. Qui c’erano tre persone che non conoscevo…”.

Fatta sdraiare la vittima, qualcuno gli strofina la carta vetrata sul braccio sinistro, provocandogli escoriazioni che simulassero lo sfregamento del gomito contro l’asfalto. La testimonianza continua: “Mi misero il braccio su due mattoni di tufo e mi colpirono violentemente con un altro mattone per ben tre volte, anche se dopo il primo colpo io avessi chiesto in lacrime di fermarsi. I tre colpi mi provocarono una ferita lacero contusa e la frattura del braccio”, il tutto senza anestesia.

La vittima venne portata sul luogo dell’incidente dove c’erano uno scooter e un’auto per inscenare il sinistro. Poi l’arrivo dell’ambulanza e la corsa in ospedale. L’indagine raccoglie racconti cruenti ed episodi da commedia all’italiana: alcuni componenti dell’organizzazione avevano tentato di ascoltare l’interrogatorio di un indagato, Domenico Tantillo, accompagnato dai carabinieri dal suo avvocato. Tantillo aveva con sé una microspia, che gli era stata messa in tasca il giorno prima da un componente della banda, Alessio Cappello. Quest’ultimo non sapeva di essere intercettato. E così, durante l’interrogatorio, dal telefono sotto controllo i militari dell’Arma sentirono le domande fatte in caserma dai loro colleghi. (fonte Ansa)