Taviani, 10 anni fa morì il “re di Bavari”

Pubblicato il 16 Giugno 2011 - 12:36 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA – Cosa avrebbe detto Taviani? Cosa avrebbe fatto Taviani? Come si sarebbe mosso Taviani? Dieci anni dopo la sua morte, improvvisa, nella estate genovese di fuoco culminata nei fatti del G8, con il suo figlioccio di Cresima, Claudio Scajola ministro dell’Interno, sulla poltrona, quindi, che lui occupò per otto anni tra il 1960 e il 1967 e poi nel 1973-1975, forse conviene ripartire da queste domande per ricordare.

Paolo Emilio Taviani, figlio di Ferdinando, riposa nella sua tomba di Bavari dal giugno del 2001 e il suo ricordo è talmente vivo nella memoria della politica e della città che a volte si potrebbe pensare: il patriarca della Dc, il “re”, appunto, di Bavari, il ministro più volte al governo nella storia repubblicana di qualsiasi altro genovese e ligure, il professore di Dottrine Economiche all’Università di Genova, il partigiano “bianco” dell’annuncio della Liberazione, con la sua voce a Radio Genova, il presidente della FIVL, lo studioso di Cristoforo Colombo, il cofondatore della Dc, alla fine è ancora vivo.

A volte, invece, si potrebbe pensare che il suo nome, la storia delle sue opere, sia stata cancellata dallo stesso vento che in certi giorni gelidi si infila anche lassù sulla collina di Bavari, nel piccolo cimitero o nella sua piccola casa, cento metri di sotto, di costa alla strada che scende tutta curve verso Fontanegli e la Valbisagno.

La tomba, la casa, quella strada nel verde trionfante della fine primavera che ci porta l’anniversario della morte, sono sempre là. Ma il resto? A Genova esiste uno slargo, di fianco al Museo del Mare intitolato al suo nome, una piazzetta di lato alla Darsena, di lato a via Gramsci, che i turisti diretti al sommergibile, diventato l’attrazione del vecchio porto o porto antico che esiste anche e sopratutto grazie alla sua testardaggine colombiana, a quell’insistere sul Cinquecentesimo decenni prima della data fatidica del 12 ottobre 1992, che lo guardavano come un fissato quando ancora potente, nel fulgore della sua carriera di governo, lo vaticinava, neppure colgono toponomasticamente il nome del “titolare”, questi turisti, con nel naso l’odore della salsedine marcia delle acque portuali e negli occhi i mille colori di quella giravolta città-porto-mare-navi-traffico.

Uno slargo di poche decine di metri quadrati, ottenuto – bisogna riconoscerlo – per l’insistenza di uno dei suoi seguaci, quello più controverso e di questi tempi anche molto discusso, l’unico a diventare ministro in ben altra Repubblica, in ben altri tempi, in ben altro partito della sua Dc, Claudio Scajola, l’imperiese berlusconiano, e per il ricordo di pochi altri. Nel disinteresse generale: a quell’inaugurazione dello slargo Taviani non ci saranno state più di venti persone.

Un pezzettino minuscolo della città, in un luogo che ai suoi tempi non esisteva neppure, chiuso dietro il muro di Genova, che separava la città dal suo porto, una grata di ferro e mattoni, una barriera fisica psicologica, doganale che stava sotto la roboante Sopraelevata e quell’angolo di polvere e rumore tra i grandi silos e le sirene delle navi.