Parti a rischio in aumento, i ginecologi e “l’incubo denuncia”

Pubblicato il 30 Settembre 2010 - 15:13| Aggiornato il 3 Dicembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

I ginecologi italiani si sentono sotto attacco perché hanno paura di essere denunciati: infatti ci sono sempre più parti “a rischio” e i pazienti sono sempre pronti a denunciare il medico. I timori della categoria sono stati raccontati da Simona Ravizza sul Corriere della Sera.

Scrive la Ravizza: “Tullia Todros, 62 anni, è la prima firmataria di una lettera inviata ai mass media venerdì scorso per esprimere lo sconforto di sei big della ginecologia italiana alle prese con le gravidanze ad alto rischio: «Di giorno siamo in trincea alle prese con il dilemma del tipo di parto da eseguire, di notte non dormiamo più per l’ incubo delle denunce». Da primaria del Sant’ Anna di Torino, però, la Todros è anche la protagonista dell’ unico cesareo degli ultimi mesi finito sui giornali per essersi concluso bene. Quello che ha portato alla nascita della piccola Idil, 670 grammi appena, partorita da una donna in coma per un tumore al cervello. «Ma ogni gravidanza è un’ enorme avventura e come tale comporta un margine, anche se piccolo, di imponderabilità – dice la ginecologa -. Tutte le volte che entriamo in sala parto sappiamo che dalle nostre scelte dipendono due vite. E fare partorire le donne, paradossalmente, non è mai stato così difficile».”

Il pericolo di incidenti, ha spiegato la Ravizza, “è dietro l’ angolo perché alla medicina viene chiesto sempre di più. Con l’ età delle mamme che slitta in avanti (32 anni contro i 19 delle bisnonne). La fecondazione artificiale che provoca il boom dei parti plurimi con il moltiplicarsi dei rischi sia per le madri sia per i feti. I progressi clinici che riescono a fare concludere una gravidanza anche a donne con malattie per le quali fino a poco tempo avere figli sarebbe stato impensabile. Immigrate con patologie gravi mal curate nei Paesi d’ origine”.

Inoltre, “dopo la lite scoppiata al Policlinico di Messina tra due medici che ha ridotto in fin di vita la madre e il bambino – c’ è l’ incubo cesarei. «In Italia se ne fanno troppi (quasi il 40% contro il 15% raccomandato dall’ Organizzazione mondiale della Sanità, ndr). Un abuso che avviene soprattutto negli ospedali con meno di mille/millecinquecento parti l’ anno, spesso in difficoltà ad affrontare l’ incognita di un parto naturale», ammette Todros”.

La Todros, ha ricordato la Ravizza, “insieme con gli altri cinque firmatari della lettera – Tiziana Frusca di Brescia, Patrizia Vergani del San Gerardo di Monza, Nicola Rizzo e Gianluigi Pilu di Bologna, Enrico Ferrazzi del Buzzi – non ci sta, però, a trasformare l’ Italia nel Paese dei parti a rischio: «I numeri parlano di una grave complicazione neonatale ogni mille nati e di una forbice di morti materne tra le 7 e le 15 ogni 100 mila. Una frequenza superiore rispetto a quella delle statistiche ufficiali, ma in linea con il resto d’ Europa e degli Stati Uniti». Non è un buon motivo, però, per restare con le mani in mano: «Partorire in Italia oggi è più sicuro rispetto al passato. Ma bisogna migliorare il più possibile l’ organizzazione – insiste la Todros -. È necessario anche stabilire percorsi di cura mirati per le donne con gravidanza più a rischio»”.