Torna la paura nel ghetto di Roma dopo il corteo pro-Palestina

Pubblicato il 2 Giugno 2010 - 12:32 OLTRE 6 MESI FA

Corteo pro-Palestina a Roma

Gli ebrei romani tornano ad avere paura all’indomani del corteo pro Palestina che ha attraversato la capitale.

Durante la manifestazione è comparsa una scritta, in spray nero, testimonianza di un nuovo rancore rivolto al ghetto e ai suoi abitanti: «Boicotta Israele/ Boicotta l’apartheid», recita, sul legno che protegge il restauro di Palazzo Caetani.

A poca distanza, vive infatti, la comunità degli ebrei romani, la più antica della Diaspora nel Mediterraneo. Il Ghetto fu abolito solo nel 1870, ultimo in Europa Occidentale, dopo l’Unità. Proprio verso quel ghetto i manifestanti hanno gridato «assassini, fascisti» al centinaio di ebrei romani corsi con la bandiera israeliana in piazza dell’Enciclopedia Italiana, accanto a Palazzo Caetani, per evitare pericolose «invasioni» dell’area.

I manifestanti non sono entrati ma hanno lasciato la loro scritta, come una testimonianza, un segnale per molti ebrei che lì dietro hanno le loro case e la loro vita.

Le forze dell’ordine hanno aumentato la sorveglianza ma a campeggiare è la paura. Ecco che all’uscita dei bambini della scuola primaria «Vittorio Polacco» in via del Tempio, dove i piccoli si sono sempre trattenuti a giocare in piazza ora il gioco non c’è più. I genitori li portano via subito. Lo stesso avviene in tante scuole vicine.

Gli ebrei hanno paura che torni a svegliarli l’incubo del 9 ottobre 1982, il giorno dell’attacco al Tempio, quando un attentato di estremisti palestinesi uccise Stefano Gaj Taché, di due anni, e ferì 24 persone.

Andrea Limentani, 35 anni, avvocato, intervistato da Paolo Conti sul Corriere della Sera, ricorda: «Poco prima dell’attentato del 1982, durante un corteo dei sindacati unitari qualcuno depositò una bara davanti al Tempio, sotto la lapide che commemora la deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943. Oggi, stesso clima. Un’atmosfera ostile trasversale, da destra come da sinistra, che spesso diventa antisemitismo. Sull’eccidio non può che esserci rammarico e dispiacere per il dramma dei morti civili. Ma prima di giudicare sarebbe bene capire. Perché tutto è successo su quella sola nave tra le tante altre?».

Alberto Mayer, commerciante e studioso di ebraismo, spiega poi la difficoltà di essere ebrei a Roma: «Tuttora non c’è una percezione esatta di cosa significhi essere ebrei italiani, romani ed essere israeliani. Noi siamo cittadini romani ebrei. Amiamo Israele. Ma possiamo nutrire un senso critico verso le sue scelte come qualsiasi altro cittadino europeo. Viviamo a Roma e, di fronte a certe manifestazioni, ci sentiamo impotenti».

Leo Terracina, 47 anni, commerciante lancia l’allarme: «La paura è che la prossima volta non vengano a manifestare spinti dall’antisionismo ma direttamente dall’antisemitismo”. Quindi un pensiero a chi a perso la vita nell’assalto alla nave dei pacifisti. “I morti, arabi o israeliani che siano – dice – quando ci sono significa che tutti hanno perso”.