Il bluff da tre soldi di Pennisi: “Giudice, ho le tasche vuote”. Aveva nascosto i soldi in bagno

Pubblicato il 15 Febbraio 2010 - 16:01 OLTRE 6 MESI FA

Milko Pennisi

Carcere di San Vittore, lui è dentro da quasi due giorni e non sa quel che è accaduto fuori. Quindi Milko Pennisi, presidente della Commissione urbanistica del Comune di Milano, arrestato per flagrante tangente, ci prova e bluffa: ” «Soldi non ne ho presi, addosso non mi hanno trovato niente…”. Ha di fronte il gip Simone Luerti che non sa a quel punto se mettersi a ridere o a piangere: il bluff di Pennisi è insieme una scena comica e patetica. Come comico e patetico era stato due giorni prima la corsa a disfarsi delle banconote appena intascate.

La prima rata Pennisi l’aveva intascato tempo addietro, veicolo un pacchetto di sigarette con dentro arrotolate, strizzate, le banconote da 500 euro. La seconda rata era sceso a prenderla al bar, come un caffè, lasciando per qualche minuto ufficio e riunione. Intasca dalle mani dell’immobiliarista Mario Basso e si dilegua in fretta. Non sta fuggendo, sta portando i soldi al sicuro. Entra nella libreria Hoepli, va alla cassa, cambia , “in fretta” come ricorderà poi la cassiera, un pezzo da 500. Intasca un resto da 420 euro. Ha smerciato la prima banconota. Poi scende le scale, va al piano di sotto, nel sotterraneo, al bagno. E lì, dietro un termosifone, nasconde al sicuro i restanti nove pezzi da 500.

Quando lo arrestano Pennisi ha nel portafoglio 420 euro “puliti” e nessuna banconota di quelle segnate dagli investigatori. Va in carcere sicuro che i soldi che lo incastrano sono rimasti dietro il termosifone. Questo crede di sapere quando parla con il giudice e quando ci prova a dire che della tangente non ci sono prove. Non sa che i finanzieri e i poliziotti hanno lavorato per ore in quella libreria, sfogliando ogni libro, rovistando ogni scaffale. Fino ad arrivare anche loro al bagno nel sotterraneo dove hanno finalmente trovato i soldi.

A quel punto era già tutto scritto, nero su bianco, in un rapporto degli investigatori: la corsa in libreria, l’uso “improprio” del bagno. Forse qualcuno dei poliziotti si era ricordato di quel giorno di 18 anni fa quando Mario Chiesa provò a “smaltire” la prima storica mazzetta di mani Pulite in un water tirando lo scarico.

Così la polizia ricostruisce le sequenze “dell’audace colpo”: l’idea della libreria, il piano di smaltimento e occultamento. La banconota cambiata, le altre nove ancora in tasca, la “discesa al bagno” del  consigliere comunale del Pdl. Conosce bene il posto e si muove con una certa dimestichezza. Le scale, il bagno, il termosifone. Pensa quindi di avercela fatta, di averla scampata o almeno di aver ridotto il danno. Se va male, dovrà difendersi da un’accusa senza prove materiali a suo carico. E infatti al giudice dice: “Nessuna mazzetta, mi era stata offerta ma io non ho preso nulla e infatti non avete trovato nulla”.

Avevano invece già trovato tutto e quel giudice di fronte al quale Pennisi esibiva le sue “tasche pulite”, di fronte a quel bluff già scoperto, avrà pensato, senza poterlo dire quel che pensa ognuno che legge, ascolta e conosce come è andata davvero, che c’era un altro evidente reato a carico di Pennisi: quello di portate in giro una faccia, diciamo così, sfacciata.