Come garantire la pensione ai giovani? Età e contributi a “quota 100”

Pubblicato il 24 Settembre 2011 - 13:58 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’Italia non può più permettersi le pensioni di anzianità. Dagli Settanta a oggi sono più che triplicate le persone con più di 65 anni ogni 100 abitanti, negli stessi 40 anni il peso della spesa pensionistica è raddoppiato, dal 7,8% del prodotto interno lordo al 15,3%. Il Il numero delle pensioni in pagamento è cresciuto del 69%, da circa 14 milioni a quasi 24 milioni. Sono bastati questi numeri per far dire alla Confartigianato che questo passo non è più sostenibile.

L’Italia non riesce a star dietro alle pensioni di anzianità, ossia quelle che oggi ricevono i lavoratori dipendenti che hanno “quota 96” (60 anni d’età e 36 di contributi oppure 61 anni e 35), gli autonomi che hanno “quota 97” (61+36 o 62+35), e quelle che ricevono tutti i lavoratori con 40 anni di versamenti aldilà dell’età.

Ora, secondo Confartigianato, l’obiettivo è “quota 100”. “Dobbiamo arrivare rapidamente, in un quinquennio, a quota 100 assoluta”, dice al Corriere della Sera il segretario generale della Confartigianato, Cesare Fumagalli. Cosa cambia con questa quota? Lo spiega Fumagalli. Chi ha 40 anni di contributi deve avere almeno 60 anni per lasciare il lavoro. Con 35 anni di servizio ce ne vorrebbero 65 anni. “Non vogliamo farlo di colpo — concede Fumagalli — ma in cinque anni sì, pensiamo sia quello che serve”.

A fare i conti è Enrico Marro sul Corriere: “Del resto, l’aumento dell’età pensionabile consentirebbe di evitare operazioni più dolorose per le imprese, quali l’aumento dei contributi, in particolare per artigiani e commercianti che ancora godono di un’aliquota nettamente più bassa, versando all’Inps circa il 20-21% del reddito dichiarato contro il 33% versato da aziende e lavoratori sulla retribuzione lorda dei dipendenti. E aumentare ancora la pressione fiscale e contributiva, che è passata dal 31,4% del Pil nel 1980, a quasi il 44% oggi, sarebbe impensabile, secondo la Confartigianato“.