Prato e la sua Chinatown: tre omicidi scuotono la città toscana

Pubblicato il 27 Giugno 2010 - 12:08 OLTRE 6 MESI FA

La trasferta pratese di venerdì 25 del nuovo ambasciatore cinese in Italia, Ding Wei, ha provocato diverse reazioni. Le notizie che filtrano parlano di un confronto piuttosto acceso tra il diplomatico e il prefetto della città toscana, Maria Guja Federico. Anche il colloquio con il sindaco di centro-destra Roberto Cenni è stato a tal punto “franco” che la Lega Nord di Prato ha emesso un comunicato nel quale invita il ministro dell’Interno Roberto Maroni a protestare con Pechino e a chiedere il richiamo in patria dell’ambasciatore. Per la Lega Nord toscana, l’immigrazione cinese oramai è fuori controllo: “Si tratta di una vera e propria colonizzazione”.

Mai, nei pur delicati rapporti tosco-cinesi, la corda si era tesa tanto e il motivo è lampante: nel giro di pochi giorni a Prato si sono verificati tre omicidi, prima due sicari incappucciati hanno sparato alla testa di un imprenditore cinese e pochi giorni dopo alle 17 nella centrale via Strozzi un commando di giovani asiatici è entrato in una tavola calda e ha ammazzato a colpi di machete due connazionali.

Le indagini sono in corso e poco si sa. Non ci sono elementi fondati sul collegamento tra i due fatti di sangue e non c’è nemmeno una vera interpretazione su cosa stia succedendo nella Chinatown del Bisenzio, quali equilibri di potere si siano rotti. La sensazione però in città e in Procura è che dall’illegalità merceologica si stia marciando a grandi passi verso un sistema radicato di criminalità economica.

E martedì 22 parlando in pubblico a 300 suoi concittadini (il sostituto procuratore Laura Canovai ha usato parole molto dure: “La comunità cinese non ci aiuta, non collabora con le istituzioni”. Xu Qiulin, l’unico imprenditore cinese iscritto alla Confindustria pratese, parlando con la stampa locale ha espresso dubbi sull’ipotesi di uno sbarco in Toscana di cosche mafiose dall’Asia ma ha detto che ci sono in città “tanti giovani che sono sbandati, non si rendono conto nemmeno di dove vivono, anzi pensano di essere in Cina”.

La visita dell’ambasciatore, seppur improvvisa e non sufficientemente preparata, avrebbe dovuto gettare acqua sul fuoco e porre le basi di una collaborazione. Invece ha sortito l’effetto contrario perché Ding Wei si sarebbe innanzitutto lamentato per i controlli anti-illegalità messi in atto dalle autorità di polizia e avrebbe espresso preoccupazioni per l’incolumità dei cinesi di Prato. Il prefetto non ha nascosto la sua irritazione e il successivo ping pong durato un’ora e mezza, a differenza dei tempi di Richard Nixon, non è stato sinonimo di diplomazia.

Dietro gli omicidi e i ferimenti di questi giorni (un altro giovane cinese che fa da interprete per i carabinieri è stato aggredito all’uscita dalla discoteca Siddharta), c’è la realtà del distretto tessile parallelo, di una Prato che si lecca le ferite della sua industria declinante e vede invece fiorire il business dei confezionisti cinesi, che importano il tessuto dal loro Paese e grazie all’attività dei laboratori clandestini riescono a vendere jeans e maglie a prezzi stracciati a camionisti e intermediari dell’Est europeo

L’economia sommersa a Prato fa aprire ogni giorni 4 aziende cinesi e ne fa chiudere in contemporanea 2  per un giro d’affari di 2 miliardi di euro per più della metà in nero.

A tingere di mistero e corruzione l’attività cinese è arrivata a fine marzo anche un’inchiesta della magistratura ribattezzata Permessopoli, che ha portato in carcere due capi della comunità, Bangyun Dong e Zhouwen Ye, il vice questore Fabio Pichierri, quattro poliziotti e due carabinieri. I

ricchi cinesi, secondo l’accusa, pagavano i funzionari italiani per il rilascio di permessi di soggiorno e per avere soffiate sui controlli programmati dalle forze di polizia. I due stranieri sono ancora in carcere mentre Pichierri resta indagato ma è in libertà.