ROMA – Spiati in casa propria. La Corte di Cassazione segnala il pericolo della privacy a rischio anche tra le proprie mura domestiche. Lo fa segnalando all’Autorità garante dei dati personali una sentenza in cui mette in evidenza la mancanza di norme da rispettare da parte del proprietario unico di immobili dati in affitto, o in comodato, per i quali non sia stato costituito il condominio.
Proprio per la mancanza di regole, i giudici della Cassazione hanno dato il via libera alle telecamere installate da Salvatore R. sull’abitazione della ex nuora, Maria R., assegnataria, dopo la separazione, di un appartamento in una palazzina di proprietà del suocero dove anche l’uomo abitava.
Stizzita per quegli obiettivi puntati sul portone esterno e su quello dell’ingresso ai piani, la signora Maria – che non si sentiva libera di ricevere visite o di uscire e rientrare per fatti suoi – aveva protestato.
Il Tribunale le aveva dato ragione e aveva ordinato la rimozione dell’impianto. I giudici di Messina non avevano dato per buona la giustificazione dell’ex suocero di essere stato, due anni prima, vittima di minacce e di doversi proteggere.
Invano Salvatore R., pur di tenere sotto controllo l’ex moglie del figlio, aveva fatto presente che dei filmati restava traccia solo per tre giorni e che solo l’autorità giudiziaria avrebbe potuto vederli. Basta con queste riprese, aveva detto il tribunale.
Ma il suocero non si è arreso e ha vinto il ricorso innanzi alla Suprema Corte che ha dato il nulla osta alle riprese. Al Garante si fa notare che le “lacune” di legge escludono dal rispetto delle norme sulla riservatezza “il proprietario unico di un immobile, ancorché concesso in locazione o in comodato”, con la conseguenza che “per fini esclusivamente personali”, il proprietario, può videocontrollare le parti comuni anche senza l’accordo dei terzi che ne usufruiscono.