Privacy pazienti venduta per 9 euro: 49 arresti, carabinieri e investigatori

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2013 - 12:24| Aggiornato il 17 Settembre 2020 OLTRE 6 MESI FA

BERGAMO  – Nome, cognome e prognosi: la privacy di un paziente valeva appena 9 euro. La Guardia di Finanza ha scoperto a Bergamo un giro di violazione della privacy dei pazienti. I loro dati sensibili venivano venduti da “talpe” negli ospedali a consulenti che si occupavano degli indennizzi degli incidenti.

Le indagini, iniziate nel 2010 scrive Giuliana Ubbiali sul Corriere della Sera, hanno portato all’arresto di 49 persone, tra cui i titolari di un’Agenzia investigativa, il proprietario e il collaboratore della Consulenza incidenti stradali e anche 21 carabinieri. Le accuse contestate sono di rivelazione di segreti d’ufficio e illecita interferenza nella vita privata.

Le indagini iniziano il 14 maggio del 2010 da una telefonata, scrive il Corriere della Sera:

“È del 14 maggio del 2010, D. parla con G. e gli chiede: «Quanti sono?». Lui risponde: «Una pagina, sono arrivati adesso quelli recenti». Una pagina di che cosa? Nomi di pazienti, è la risposta che daranno le indagini. C’è un altro punto di contatto e si trova sulle carte che la Guardia di finanza sequestra nel maggio del 2010 a casa di D. e negli uffici della Cis. A penna, sullo stesso foglio con la lista dei pazienti, ci sono degli appunti. C’è il nome di P. e ci sono dei calcoli. Per esempio, 160 x 9, totale 1.440 euro. Per gli inquirenti quei 9 euro sono il compenso per ciascun nominativo fornito: solo per il periodo tra settembre 2009 e il maggio del 2010 sarebbero 1.156 pazienti, per un totale di 10.404 euro. Si scoprirà che erano del Policlinico San Pietro, ma non si è mai capito come gli elenchi siano usciti da lì”.

La Ubbiali spiega che era stato elaborato un sistema per accaparrarsi i clienti e seguire chi era stato contattato e chi no:

“I contatti erano soprattutto tra G. e D., che si incontravano per bersi un caffè. Ma secondo gli inquirenti era una scusa per la consegna delle liste. Ed Emanuele era all’oscuro di tutto? Viene ritenuto inverosimile, visto che è il titolare della Cis. Una volta che si risale a G. e a P., scattano delle nuove intercettazioni. Emergono così le attività investigative. Anche qui tutto nella norma. Se non fosse che si sarebbero spinte a piazzare registratori nelle case, senza autorizzazione delle forze dell’ordine, e ad accertamenti su conti bancari”.

Le intercettazioni, scrive poi il Corriere della Sera, mostrerebbero l’utilizzo di microfoni non autorizzati dalle forze dell’ordine:

“L’uomo che chiede aiuto è preoccupato per il padre malato. Ha il sospetto che in casa non venga seguito a dovere. «Potrei mettere un microfono per vedere se maltrattano mio papà? È legale?», chiede. E P.: «Sì, sì, lo possiamo mettere noi». Ma il cinquantenne non è convinto e teme problemi: «Devo far prima denuncia ai carabinieri?». Ancora una volta l’investigatore lo rassicura: «Pensiamo a tutto noi». Il costo? Mille euro”.

Christian Manzoni, legale di P. e G., sostiene che le accuse rivolte ai suoi assistiti siano prive di fondamento:

«I miei assistiti escludono che sia così come viene loro contestato. Sono due professionisti seri e stimati. Queste sono accuse infondate. Per il momento approfondiremo la documentazione e poi chiariremo».