Rivoluzioni arabe e islam. Stefano Allievi: “Assecondare il processo di trasformazione”

Pubblicato il 18 Maggio 2011 - 18:34 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Tra rivoluzioni arabE e immigrazione l’islam bussa alle nostre porte e diventa sempre più importante capire il mondo musulmano.  Nuccio Franco per Agenzia Radicale ha intervistato Stefano Allievi, sociologo delle religioni, docente presso l’Università di Padova e studioso di Islam.

“Lo scontro di civiltà è stata una metafora di successo che per molti anni è stata anche una profezia che si è auto realizzata” sostiene Allievi convinto si tratti di una “fase transitoria verso nuovi equilibri”, sostiene Allievi.

Blitzquotiano pubblica il contenuto del colloquio.

Professore, la morte di Osama Bin Laden è certamente un duro colpo alla rete di Al Qaeda. Cambia qualcosa sullo scenario del fondamentalismo islamico internazionale o si corre il rischio di assistere a reazioni a catena come sostenuto dalla maggior parte degli analisti?

Non voglio fare la Cassandra di turno, ma è verosimile che potranno esserci colpi di coda, vendette ed altri attentati. Ciò che è certo è che la morte di Bin Laden è uno degli avvenimenti degli ultimi anni che danno un colpo di grazia al paradigma dello scontro di civiltà. Due sono gli eventi principali del nuovo corso: il discorso di Obama e l’uccisione del capo di Al Qaeda. Entrambi ribaltano e rendono meno vivo il paradigma. Sono venuti a mancare i contendenti ed i presupposti di una certa politica, ossia Bush da una parte ed Osama dall’altra che non si giustificano più vicendevolmente. Insieme alla Primavera araba sono tra le buone notizie degli ultimi mesi che ci consentono di voltare pagina a prescindere dal fatto che qualcuno l’avesse previsto o voluto. E’ accaduto e questo è straordinario.

Qual è il futuro dei rapporti tra Occidente ed Islam e quali le prospettive concrete del fronte islamico-liberale del quale le rivolte in atto rappresentano un’espressione?

Potrà esserci un nuovo terrorismo così come un nuovo imperialismo, questo non è dato saperlo, però sicuramente le inerzie interpretative utilizzate nell’ultimo decennio vedono in qualche modo caduti i loro alfieri. Questo cambia davvero lo scenario. Quanto alle prospettive future di questo movimento, credo che tutto dipenderà da quanto e come l’Occidente saprà e vorrà accompagnare questo cambiamento. Le democrazie arabe sono state capaci di chiudere un ciclo che è imploso grazie all’iniziativa ed alla saturazione di popolazioni vissute sotto dittature mascherate. Il popolo ha fatto la sua parte; l’Occidente, l’Europa e l’Italia in particolare sono stati gli ultimi ad accorgersi e ad accettare il cambiamento. Ora dovranno avere l’intelligenza di accompagnare la trasformazione di questi paesi fornendo un sostegno vero dal punto di vista politico, sociale ed economico. Se non si fa questo, il rischio è di buttare un patrimonio straordinario che potrebbe rappresentare una pacificazione reale per almeno un ciclo storico soprattutto nel Mediterraneo. Personalmente, questi segnali di intelligenza politica dell’Europa stento a vederli soprattutto con riferimento alle questioni sociali ed ai rapporti con le nuove elite. Se ci saranno cambierà tutto, altrimenti avremo una parte di responsabilità nel fallimento di questo processo.

L’ondata di protesta che ha sconvolto il Maghreb ed il Medio Oriente, non era ipotizzabile fino a qualche mese fa. Almeno non in questi termini. In che modo i movimenti estremisti potrebbero condizionarlo?

Innanzitutto bisogna chiarirsi su cosa intendiamo per estremisti. Certamente i gruppi radicali e filo-terroristi potranno infastidire il processo con qualche attentato, che sortirebbe l’effetto di spaventare l’Europa più di quanto non lo sia già, spingendola a ritirarsi dall’area anziché accompagnare il cambiamento. Detto questo, non vedo segnali in tal senso, perché se per estremisti si intendono i partiti religiosi, e i Fratelli Musulmani, credo che essi rappresentino un interlocutore imprescindibile, anzi decisivo ed utile per la trasformazione di questi paesi. Sono anche loro interessati al cambiamento. Certo, qualche attentato potrebbe essere realizzato e creare dei problemi, com’è ovvio che sia, ma la tendenza va in direzione opposta. La morte di Bin Laden ha sottratto linfa a quella frangia di consenso popolare che ha perso il suo eroe e non ha altre carte da giocare.

Professore, si fa un gran parlare dell’Islam moderato. Per molti si tratta di un ossimoro, di un’invenzione giornalistica. Qual è la sua opinione?

Per la maggioranza dei media italiani, l’Islam moderato è rappresentato dal non musulmano, dalla donna che non si vela, dall’uomo che non va in moschea, che non ha la barba e indossa la cravatta. Ciò rappresenta un paradigma interpretativo che certamente non aiuta la comprensione. A mio avviso, si tratta di sciocchezze a volte anche volute, in quanto c’è chi ha fatto di tutto per propagandare la visione che l’Islam moderato è quello non praticante. Se invece per moderato si intende chi ha determinate opinioni politiche, credo che l’Islam turco, governativo, e molti altri, siano assolutamente moderati. In questo senso anche la maggior parte dei Fratelli Musulmani possono essere definiti moderati. E così altri movimenti spesso interpretati dai media (italiani, molto meno statunitensi ad esempio) come radicali. In questo caso, moderato sta a significare moderatamente progressista o conservatore. In questo senso è legittimo utilizzare tale categoria.

Lo scontro di civiltà è davvero inevitabile o si tratta di un grande equivoco alimentato da un difetto di comunicazione?

Lo scontro di civiltà è stata una metafora di successo che per molti anni è stata anche una profezia che si auto realizza. Se questo si crede, questo si persegue; se questo risulta da una certa analisi, è questo ciò che viene perseguito da alcune amministrazioni capaci di modificare i destini del mondo. E’stata la chiave interpretativa della politica di Bush e del radicalismo islamico estremizzato dal qaedismo. Tuttavia oggi da molte parti, non ci si crede più. Del resto, una profezia che si auto realizza non è il risultato di un’analisi. I conflitti ci sono non perché ci sono dei confini che bruciano tra occidente ed Islam, i “conflitti di faglia” di cui parlava Huntington, ma al contrario perché ci sono sempre più interrelazioni, che possono portare tanto pacificazione e creazione di nuovi legami quanto conflitti, talvolta come semplice fase transitoria verso un nuovo equilibrio.