Formigoni e la sanità lombarda. Pressioni per un appalto da 1 milione di euro?

Pubblicato il 25 Giugno 2012 - 10:08 OLTRE 6 MESI FA

Roberto Formigoni (LaPresse)

MILANO – Stando a quanto riporta il quotidiano “Repubblica”, sul governatore della Lombardia Roberto Formigoni si sarebbero addensati alcuni sospetti riguardo a presunte pressioni per un appalto da 1,1 milione di euro.

Il nome di Formigoni sarebbe apparso anche nell’indagine sulle sperimentazioni cliniche negli ospedali lombardi affidate, attraverso -scrive Repubblica- “bandi cuciti “su misura” a un pool di aziende amiche  tra le quali figurano anche aziende dell’orbita della Compagnia delle opere”.

A puntare i riflettori sul governatore lombardo sarebbe una testimonianza di un dirigente dell’ospedale Niguarda di Milano.

Riporta Repubblica:

Secondo questa testimonianza, tutta ancora da verificare, il direttore del Niguarda, il ciellino Pasquale Cannatelli, lamentandosi per il»forte ritardo nell’avvio» di una gara d’appalto da 1,1 milioni per la sperimentazione di 135 ecoscopi destinati all’azienda ospedaliera (e a Lecco) avrebbe detto anche di aver subito «pressioni di Formigoni e da esponenti della General Electric», una delle società interessate al business.

Il quotidiano spiega ancora che “nel fascicolo sui test clinici “suggeriti” dalle multinazionali ai vertici del Pirellone i finanzieri del nucleo valutario hanno acquisito, durante le perquisizioni, gli archivi elettronici dei funzionari coinvolti, a cominciare dallo stesso Lucchina. E l’analisi delle mail potrebbe rivelare più di un indizio su possibili rapporti “promiscui” tra i mandarini della Regione e imprenditori del settore sanitario. Il nome di Formigoni, poi, spunta negli atti dell’indagine anche in un altro passaggio — considerato dagli stessi investigatori, in verità, piuttosto oscuro — nel quale è associato alla figura di Pio Piccini, l’imprenditore considerato nell’inchiesta romana sugli appalti Enac come il procacciatore di finanziamenti alla fondazione di Massimo D’Alema “Italiani Europei””.

Secondo quanto riporta invece il Corriere della Sera su Formigoni si aggirano anche i sospetti riguardo a un giro di denaro che sarebbe legato alla Fondazione Maugeri. In ballo ci sarebbero 70 milioni di euro.

Spiegano Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, parlando del giallo di 10 milioni in contanti e del ruolo di Pierangelo Daccò che sarebbe considerato come “«borsellino» di manager infedeli della stessa Maugeri”.

Così appare significativa la traiettoria che talvolta porta i soldi della Maugeri (periodicamente stanziati dalla Fondazione per retribuire il proprio consulente Daccò) in conti-rubrica all’estero che poi però risultano aver alimentato esclusivamente le società che possedevano gli yacht usati da Daccò per le proprie pubbliche relazioni, e costatigli soltanto per la gestione ordinaria circa 4 milioni di euro. Questo avrebbe un significato se trovassero riscontro i ricordi dei marinai che attribuiscono a Formigoni e al suo coinquilino Alberto Perego (nella comunità laicale dei Memores Domini legati al voto di povertà) almeno l’80% dell’utilizzo di uno di questi yacht dell’amico Daccò: sarebbe infatti come dire che la «barca di fatto» di Formigoni gli sia stata pagata (tramite il «portafoglio-Daccò») proprio dai soldi di quella Fondazione Maugeri che intanto nell’assessorato regionale alla Sanità accedeva ai pagamenti delle discrezionali «prestazioni aggiuntive» ai normali rimborsi delle prestazioni erogate ai pazienti.

E ancora:

La prima è che Daccò abbia funzionato anche come «borsellino» di manager infedeli della stessa Maugeri, che si sarebbero visti retrocedere in nero e all’estero da Daccò parte delle ingentissime somme lucrose che facevano pagare a Daccò dalla Fondazione a titolo di consulenze. La seconda è che Daccò sia stato anche il «portafoglio» di se stesso, perché nel 1992 l’esperienza di Mani pulite ha tante volte insegnato che nel mercato illegale della corruzione non è affatto raro che gli intermediari, sicuri di non essere certo denunciati ai magistrati, facciano la cresta sulle tangenti e trattengano per sé consistenti somme di quelle affidategli.