Roberto, dopo la tragedia di Sarno: “Ricordo tutto, ora faccio volontariato”

Pubblicato il 7 Agosto 2010 - 19:07 OLTRE 6 MESI FA

Precipitare nel vuoto, vivere 76 ore sommersi dal fango e tornare alla luce per una vita diversa da quella cominciata prima che una tragedia collettiva sconvolgesse le esistenze dei singoli. E’ la storia di Roberto Robustelli, protagonista involontario di quel tragico 5 maggio 1998 a Sarno, che uccise 139 persone. Roberto e’ sopravvissuto alla tragedia e ai suoi familiari.

Il padre e la zia sono nell’elenco delle vittime, Robustelli ha scelto di vivere lontano dalle immagini e dagli stereotipi di quei giorni. Dopo quelle 76 ore ha rifiutato la commiserazione, eppure ogni tanto avverte il richiamo della tragedia, come quando decide di partire per San Giuliano di Puglia o per L’Aquila.

”Ricordo tutto – dice Roberto – anche i minimi dettagli. Ero tornato da Napoli intorno alle 16, dove frequentavo la facolta’ di Filosofia. Da qualche giorno a Sarno cadeva una pioggerellina fastidiosa che pero’ non lasciava presagire nulla di quanto sarebbe poi accaduto. Passai per lo studio fotografico, dove collaboravo. Poi telefonai a mia madre, che mi disse di non andare a casa. Il fango colava dalla montagna e gia’ devastava viale Margherita, proprio dove abitavo con la mia famiglia. Pensai a mia sorella, sposata da pochi mesi e in attesa del primogenito. Pensai a mio padre, a mio fratello, alla mamma, a mia zia. Li cercavo. Quel rumore della colata ce l’ho ancora in testa. Somiglia a una mandria di bufali in corsa, un rumore da film western in bianco e nero, che non mi abbandona da 12 anni”.

Roberto vide suo padre per l’ultima volta poco prima di finire in quel garage, che fu la sua trappola e la sua salvezza. ”Pensavo solo a farmi spazio. Pensavo a vivere, anche se con il passare del tempo le speranze e le forze si affievolivano. Si’, ho bevuto anche le mie urine, non potevo fare altrimenti”. Il maresciallo Pascarella del genio militare con uno strumento capto’ il battito cardiaco. E finalmente la luce, le voci dei soccorritori, la stanza dell’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore.

”La notizia della morte di mio padre mi fu data inavvertitamente da un giornalista inglese. La conferma giunse dagli occhi abbassati del primario del reparto che conosceva mio padre. Mi crollo’ il mondo addosso. E da allora la domanda che mi sono sempre posto e’: perche’ mi sono salvato? Perche’ proprio io?”. In dodici anni Roberto ne ha fatta di strada. Anche se il suo cammino e’ stato difficile.

Oggi dice di procedere per tappe, per obiettivi. ”Sono stati giorni terribili, dopo l’ospedale – racconta – ero tappato in casa, inchiodato ad un letto, non volevo sentire e vedere nessuno. Poi, la scossa, l’addio a Sarno per dimenticare e far dimenticare quel Robertino salvato dal fango. Una nuova vita a Roma, dove mi sono diplomato con il massimo dei voti all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata”. Ma il richiamo della propria terra e’ stato piu’ forte. Roberto e’ tornato a Sarno quando ha capito di non essere piu’ quel ragazzo da commiserare. Oggi ha un’avviata attivita’ di immagini e comunicazione. E’ consigliere comunale di opposizione. Ed e’ sempre pronto a prodigarsi per quanti soffrono.

”In quelle ore nel fango, il rumore del silenzio mi ha devastato. Percio’ quando accadono tragedie come quelle di San Giuliano di Puglia, di L’Aquila e’ piu’ forte di me, devo andare. Devo sostenere anche con uno sguardo, un sorriso, chi ha bisogno”. Robustelli da anni e’ nell’associazione sarnese ”Nuova Officina” che vede impegnati medici e volontari in un villaggio in Nicaragua. E’ prossimo alla laurea in sociologia, che conseguira’ entro fine anno all’Universita’ di Salerno. Sta scrivendo una tesi con un titolo emblematico: ”La morte come Follia”. Una tesi di laurea che parlera’ soprattutto con le immagini fotografiche.