Cristian De Amicis, 7 anni: ultima sera allo stadio con papà e morire con lui

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 24 Ottobre 2014 - 15:03 OLTRE 6 MESI FA
Cristian sette anni: vivere ultima sera allo stadio con papà, poi morire con lui

Cristian sette anni: vivere ultima sera allo stadio con papà, poi morire con lui

ROMA – Cristian De Amicis, sette anni: vivere ultima sera allo stadio con papà, poi morire con lui. Stretto stretto a papà Stefano , la moto corre verso casa, una striscia di asfalto nera da ingoiare in fretta. Cristian  è una tempesta di emozioni, l’Olimpico ormai un puntino lontano, mamma Luana è già un filo in apprensione, chissà se la piccolina, Michelle, si è addormentata. Due fari all’improvviso. Padre e figlio non oltrepasseranno mai quella curva maledetta, la curva della Madonella, dalle parti di Tor Lupara, sulla Nomentana. La Madonella è la nona vittima in 5 anni che vede inchinarsi per sempre di fronte alla sua icona.

Ma non è il solito incidente stradale, il tributo quotidiano che sacrifichiamo alla libertà di spostarci rapidi. Luana in un colpo è vedova e… Nella lingua italiana non esiste un vocabolo, non c’è una parola per definire una mamma (e un padre) che perde suo figlio. Perdere un figlio è un tabù non solo della nostra cultura, ciò che non è concepibile non è nemmeno nominabile, preghiere e invocazioni  religiose usano perifrasi per riferirsi a Maria, “cum filio tuo mortuo…”.

«Me li hanno massacrati». Ha messo a letto la piccolina, le ha dato un bacio sulla fronte dicendole: «Tranquilla, papà e il fratellino stanno per arrivare». Ha aspettato che il cortile venisse illuminato dai fari dello scooter. Ma è rimasto buio in casa e nel cuore di Luana. «Davide, aiutami, Stefano non risponde al cellulare, la partita è finita da ore, dov’è mio marito? Dov’è Cristian?». Ha chiamato il fratello, mentre l’ombra del male iniziava ad avvolgerla. «Ho preso la macchina e ho iniziato a cercarli, poi ho visto» dice Davide. (Il Messaggero)

La giustizia, che tutto deve nominare e tutto deve diligentemente classificare, aspetta i risultati delle perizie e delle autopsie, attende che il conducente della Tigra che ha perso il controllo e i due amici a bordo si riprendano dallo choc. Sono tutti e tre romeni, abitano non lontano dalla famiglia De Amicis dalle parti di Fontenuova. Lui, operaio, non ricorda nulla: “Ho sentito un botto enorme, poi il buio”. Della coppia di amici si sa che l’uomo aveva avuto guai con la Polizia, di lei che forse non è estranea al giro di lucciole della zona. L’operaio non era ubriaco. La strada era scivolosa, male illuminata, ci sono le croci, i mazzi di fiori a testimoniarlo.

La tragedia intanto ha commosso l’intera città. Stefano, 37 anni e Cristian, 7 anni, erano tifosissimi della Roma: insieme avevano vissuto l’enorme delusione della sconfitta per 7 a 1 con il Bayern Monaco. Il padre quest’anno aveva fatto l’abbonamento allo stadio per Cristian: così piccolo e così competente, lo conoscevano tutti, non ci stava a fare da semplice mascotte. Entrambi postavano su Facebook. Cristian, ai primi calci alla polisportiva Santa Lucia, aveva due pensieri dominanti, il padre e la Roma. “Sei il papà che volevo, forza Roma”, provate a leggerlo senza un tuffo al cuore.

Cristian, come il figlio di Totti. Stefano lo aveva chiamato come il figlio del suo beniamino. La squadra della Roma, reduce da un’umiliazione, si è stretta intorno a Luana e a Michelle. Insieme al marito, Luana faceva parte del gruppo di steward dell’Olimpico.

Dal presidente Pallotta all’ultimo magazziniere sono tutti favorevoli a qualche iniziativa per aiutare Luana, fa parte della famiglia. Una colletta, certo, si pensa però ad un impiego stabile nella società. Stefano aveva appena allargato l’attività, i nuovi uffici della concessionaria un cantiere aperto. Ci penserà la Curva Sud la prossima domenica in casa a piangere Stefano e Cristian, a consolare Luana. Un coro, una voce per nominare ciò che è innominabile.