Scuola al via, Stefania Giannini: “Maturità cambia, già da quest’anno”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Settembre 2014 - 10:22 OLTRE 6 MESI FA
Scuola al via, Stefania Giannini: "Maturità cambia, già da quest'anno"

Scuola al via, Stefania Giannini: “Maturità cambia, già da quest’anno”

ROMA – Scuola al via con tanti cambiamenti. A cominciare dall’esame di maturità che, a detta del ministro Stefania Giannini, cambierà già dall’anno che parte in questi giorni. Il ministro, proprio in tema di scuola, concede due lunghe interviste. La prima, a Eugenio Bruno per il Sole 24. La seconda a Carlo Tecce per il Fatto Quotidiano.

Giannini spiega di voler cambiare da subito l’esame di stato per avvicinare la scuola al mondo del lavoro. Poi sarà la volta di una scuola che punti sul merito e sulla valutazione dei docenti.

 

Un piano che verrà approfondito nelle prossime settimane mentre cominceranno ad arrivare le prime risposte alla consultazione pubblica sulla riforma complessiva annunciata dal governo con le linee guida pubblicate mercoledì scorso. Che punterà – sottolinea la responsabile del Miur – su valutazione, merito e autonomia. Concetti che il nostro sistema scolastico conosce da almeno 15 anni ma che finora sono sempre rimasti sulla carta. «Ma stavolta non sarà così», garantisce l’ex rettore dell’università per stranieri di Perugia.
Ieri è ricominciato l’anno scolastico. Quali novità dovranno attendersi gli studenti al rientro tra i banchi?

Le novità le vedo su due fondamentali livelli. Il primo è cosa deve fare la scuola italiana perché i nostri bambini diventino persone e perché le loro conoscenze si trasformino in competenza. Il secondo è come adeguare la complessa macchina dell’istruzione in due aspetti fondamentali: la funzione degli insegnanti e il processo organizzativo. Per farlo però bisogna distinguere la politica dal lavoro dei think tank.

In che senso?
Bisogna calare il modello che si ha in mente nella scuola dell’Italia di oggi. Che ha un corpo docente anziano e diviso in due macro-settori: uno di ruolo e stabile, un altro che vive nell’incertezza ed è quella che scatena in aula. Se non si parte da questa condizione che non hanno i tedeschi, gli inglesi o i francesi si rischia di non rendere applicabile il modello che si ha in mente.

Quale?
Una scuola che abbia gli insegnanti stabilmente sufficienti a fare tutte le attività che immaginiamo. Insegnanti che siano strutturalmente e continuativamente formati e aggiornati e che trovino nella valutazione non la punizione o il premio ma la conferma o la rivisitazione del loro lavoro. E trovino però anche un’attribuzione meritocratica di un avanzamento in carriera o di un maggiore stipendio. Quindi formazione continua e strutturale, valutazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, e attribuzione di una maggiorazione stipendiale che sostituisce lo scatto di anzianità sono il cardine perché quel bambino di cui parlavo all’inizio diventa una persona modernamente migliore.
A proposito di valutazione. Da Berlinguer in avanti tutti i ministri hanno dichiarato di puntarci ma non si è mai andati oltre la sperimentazione. Perché voi dovreste riuscirci? Quali parametri utilizzerete?
Si punterà sul nucleo di valutazione. Le università già ce l’hanno, ora lo metteremo nelle scuole. Ci riusciremo perché partiremo da un progetto educativo e non da un intervento normativo, che verrà solo dopo. Perché c’è una determinazione politica di un governo e di un ministro nel voler sottoporre il progetto educativo al coinvolgimento totale di tutto il Paese. E forse questo è più rivoluzionario dei contenuti. Terzo perché il meccanismo di valutazione sarà intimamente collegato a cambiamento strutturale della carriera dei docenti. Anche la valutazione, così come l’elaborazione di un modello educativo, se non ha conseguenza concreta specifica che si realizza nella situazione specifica di questo paese rimane un mero esercizio stilistico. La valutazione sarà basata su parametri professionali, per misurare quanto un insegnante coopera a processo organizzativo, sarà più propriamente didattica, perché conterà anche il fattore reputazionale, e sarà poi fondata sui crediti formativi perché valutazione e formazione devono andare di pari passo.

Veniamo alle novità per gli studenti. È vero che cambierà l’esame di maturità a partire da quest’anno?
È una cosa su cui stiamo lavorando in questi giorni. La direzione di marcia è di renderlo compatibile con la scuola che i ragazzi già fanno e non con la scuola che stiamo costruendo con le linee guida. Le novità sicure sono quelle che si collegano ai nuovi indirizzi previsti dalla riforma Gelmini.

E interverrete anche sulla prima prova?
È un work in progress ma non ho alcuna reticenza a dirle che nella prima prova trovo molto utile e quindi lascerò il saggio breve. Cioè la prova di interpretazione di una serie di materiali su uno spunto tematico e la capacità di sintetizzarli in quello che un tempo avremmo chiamato un riassunto con più fonti. È un esercizio molto utile per capire l’abilità di comprensione dei testi, capacità di collegamento e capacità di sintesi. Il cosiddetto tema di storia o di letteratura è sempre meno adeguato alle scelte dello studente.

Per valorizzare l’esperienza in azienda ci sarà collegamento tra ciò che ti viene chiesto all’esame e ciò che hai fatto durante l’anno in alternanza?
I studenti già oggi possono farlo nella cosiddetta “tesina” ma poiché il nostro modello di scuola punta a incrementare l’alternanza scuola lavoro e guarda molto al rapporto con il mondo produttivo e delle istituzioni culturali darei a quella prova un ruolo maggiore. Del resto la riflessione che abbiamo avviato sulle competenze degli studenti vuole rivisitare sia la didattica nelle classi, che non significa solo digitalizzazione e coding ma anche didattica interattiva, sia il rapporto tra ciò che succede in aula e ciò che accade fuori. Le faccio un esempio che mi sta a cuore: se una città ha un conservatorio o un istituto musicale è uno spreco che non ci sia un collegamento, se non occasionale, tra didattica del conservatorio e delle scuole.

Non c’è il rischio che questo proposito venga vanificato dalla maxi-assunzione di un esercito di professori senza cattedra?
Abbiamo fatto un’analisi molto accurata prima di elaborare la nostra proposta e abbiamo scoperto che l’età media degli insegnanti precari delle graduatorie è di 40-41 anni mentre per quelli di ruolo è di 51-52 anni e che c’è un addensamento di precari in storia dell’arte, lingua, musica, educazione fisica. Questo significa avere un patrimonio di competenze specialistiche che finora non hanno trovato uno sbocco nelle posizioni stabili di supplenza. Questi cosiddetti precari non è che erano in un congelatore e noi li mettiamo sul mercato. Quarantottomila all’anno vanno comunque in classe. È vero che non hanno formazione ma esattamente come i 600mila di ruolo. Per cui non ho motivo di pensare che la loro qualità media sia superiore o inferiore. Se io cambio il meccanismo per tutti allora sì che faccio fare il salto di qualità al sistema.

Saranno cruciali gli organici dell’autonomia. Perché non sono mai partiti? Stavolta partiranno?
Perché non c’era la possibilità materiale di farlo. Se non sai all’inizio dell’anno scolastico su quale dimensione puoi contare e non hai strumenti per farti la tua squadra è chiaro che non hai successo. Si è sempre puntato alla richiesta di risorse cash per migliorare l’offerta formativa o per il sostegno ma non è cosi che risolvi il problema. Lo fai se metti la scuola nelle condizioni di fare il suo dovere. Una volta terminato il piano di assunzioni, me lo lasci dire, nella scuola si potrà entrare solo per concorso. Se non è stato fatto prima è solo perché non si è riusciti a tirare una riga con il passato.

In una intervista a Carlo Tecce del Fatto, Stefania Giannini ha sottolineato gli aspetti irrinunciabili” della sua riforma:

“La formazione e la valutazione dei docenti. Chi mette i voti adesso dovrà subire dei voti. Uno studente intuisce subito se l’insegnante è poco preparato, svogliato, non aggiornato”.

Dai sindacati, ha detto anche Stefania Giannini, si aspetta

“un confronto pubblico, aperto. Non ho ottimi trascorsi con i sindacati, mi riferisco ai miei anni di rettore all’Università per stranieri di Perugia: spesso sono stati un elemento di conservazione, a volte rigettano l’innovazione. La scuola è un luogo depredato. E io non smentisco. Non solo perché gli insegnanti non hanno una grande busta paga, ma soprattutto perché non esiste una possibilità di crescita, cioè di miglioramento anche sul piano economico. Credo di aver scelto una carriera universitaria perché prevedeva un maggiore dinamismo professionale, culturale, economico. Non mi vergogno del reddito, i soldi sono importanti”.