Sea Watch. Nel 1997 il caso Sibilla: nave speronata, 108 albanesi morti nel canale di Otranto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Luglio 2019 - 12:00 OLTRE 6 MESI FA
Sea Watch. Nel 1997 il caso Sibilla: nave speronata, 108 albanesi morti nel canale di Otranto

Sea Watch. Nel 1997 il caso Sibilla: nave speronata, 108 albanesi morti nel canale di Otranto

ROMA – Il venerdì santo del 1997, il 28 marzo, un vecchio dragamine carico di albanesi in fuga da Valona punta la costa pugliese. Lo scorta un’unità della Marina militare, vuole impedire lo sconfinamento verso le acque territoriali italiane.

Il comandante dell’imbarcazione albanese tira dritto, è buio quando interviene anche la corvetta Sibilla, una nave da guerra, che manovra per bloccarne la corsa. Nell’inevitabile collisione perdono la vita 108 migranti albanesi, in fuga dalla povertà e da un paese in rivolta.

Della strage del Canale di Otranto, del fatale speronamento, si è tornato a parlare a proposito di un altro episodio di “sfondamento”. Stavolta a Lampedusa con la comandante della Sea Watch Carola Rackete che ha finito per speronare un’unità marina della Guardia di Finanza impegnata nel respingimento vista la mancata autorizzazione all’attracco della nave con il suo carico di quaranta migranti africani.

Anche se a ruoli invertiti, la Sibilla,  in una situazione di interdizione navale, tagliò la strada ad una unità navale carica di migranti, provocando nell’impatto la morte di 108 persone. 

Se venisse contestato il tentato naufragio – afferma Michele Comenale Pinto, docente di diritto della navigazione all’università di Sassari – “vorrebbe dire, evidentemente, che la procura ipotizza una condotta volontaria. Ma il reato di naufragio è perseguibile anche a titolo colposo, non solo doloso”.

“È stata fatta una manovra in condizioni di estrema difficoltà, ma non c’è stato alcun atto criminale, solo la necessità di salvare delle vite”, ha spiegato la capitana al suo legale, Salvatore Tesoriero, ricostruendo la manovra che ha portato al suo arresto e sottolineando che “non c’è stato alcun contatto” con la Gdf. L’avvocato ha detto che una possibile strategia difensiva sarà quella di contestare il fatto che la motovedetta della Gdf sia una “nave da guerra”.

“La Corte Costituzionale – spiega il giurista – ha chiarito che le unità di navi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza sono tecnicamente navi da guerra, perché il suo equipaggio fa parte degli equipaggi militari marittimi. Il comandante di quella nave militare (la Sibilla, ndr.) è stato condannato per naufragio con sentenza definitiva della Cassazione”. (fonte Ansa)