Sentenza omicidio Meredith: le reazioni il giorno dopo

Pubblicato il 5 Dicembre 2009 - 17:18| Aggiornato il 21 Dicembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Amanda Knox e Raffaele Sollecito

E’ passata la notte dopo la sentenza dei giudici della Corte d’Assise di Perugia. Amanda Knox e Raffaele Sollecito questa notte l’hanno passato in carcere, sorvegliati speciali. Una notte insonne e per Raffaele una notte per riflettere e prendere coscienza dell’accaduto.

Se ieri sera, infatti, il ragazzo pugliese era sembrato ‘freddo’ alla lettura della sentenza di condanna a 25 anni di carcere, la mattina di sabato si mostra disperato. «Mi sembra di vivere in un incubo infernale: cosa faccio adesso?», ha detto. E chi lo ha visto parla di un ragazzo che non sta bene, tanto che l’avvocato Luca Mauri ha chiesto ai responsabili del carcere di Capanne di tenerlo sotto stretta osservazione e di valutare se fosse il caso di rafforzare l’assistenza psicologica.

«Perché sono qui? Perché si sono comportati così?», ha detto Raffaele all’avvocato Mauri che gli ha fatto visita sabato mattina. Il giovane ha ribadito la sua innocenza: «Io non ho fatto nulla, non c’entro niente con questa storia, sono disperato e distrutto». Dopo esser tornato in cella al tribunale di Perugia, Sollecito è stato tenuto in osservazione dagli agenti della polizia penitenziaria. In cella con lui un condannato per reati sessuali. Le sue condizioni di salute, ribadisce l’avvocato, non sono buone «é molto abbattuto – dice Mauri – abbiamo parlato con lui e gli abbiamo spiegato la situazione. Questo sarà solo un primo passo per arrivare a quello che sarà sicuramente un appello che riformerà totalmente la sentenza».

Il legale ha anche annunciato che chiederà al Dap di lasciare Sollecito in un carcere umbro per non rendergli la detenzione ancora più difficile. E ha chiesto che possa avere ulteriori testi per proseguire i suoi studi. Al momento però non è questo il primo problema di Raffaele, bensì quello di capire e di affrontare la sua situazione visto che ancora non si è reso conto di quanto gli è accaduto. E non é un caso che a tutti quelli che in carcere hanno avuto modo di parlarci ha ripetuto quella frase: «Che ci faccio qui, cosa faccio adesso?».

Meredith Kercher

Dello stesso umore di Sollecito è Amanda Knox che, dopo una notte passata a piangere, anche sabato ha continuato a ripetere: «Nessuno crede in me». «Nessuno crede in me – ha ripetuto ai suoi interlocutori – e non capisco perché. Ho sempre detto la verità, non sono stata io ad uccidere Meredith». Amanda si è anche detta molto dispiaciuta per i suoi familiari, sperava, e credeva, di poter uscire e tornare con loro negli Stati Uniti.

Chi non si rassegna è il padre di Raffaele, Francesco Sollecito: «Non esiste che abbandoni mio figlio in carcere – ha detto sabato pomeriggio – e lo difendero’ finche’ avro’ forza. La Corte ha sposato in toto la tesi dell’accusa. Non si e’ spostata di una virgola. Potevamo anche non esserci». Secondo Francesco Sollecito «le perizie chieste dalla difesa sarebbero state dirnienti. Ci sono aspetti inspiegati in questa vicenda – ha detto ancora – Noi abbiamo il diritto di sapere. Guardiamo comunque avanti e ci prepariamo all’appello».

Ad aver accolto la notizia della condanna con un sospiro di sollievo sono stati prima di tutto i familiari di Meredith Kercher che sabato hanno convocato una conferenza stampa. La famiglia di Mez si èdetta soddisfatta per la sentenza dei giudici di Perugia ma, come ha sottolineato il fratello Lile, «non è il momento di celebrare alcun trionfo» perché «ci sono tre giovani in prigione e comunque mia sorella non tornerà in vita».

«Non possiamo dirci felici per la situazione», ha aggiunto il fratello di Meredith. A chi ha chiesto se la famiglia fosse convinta della colpevolezza dei due imputati, Arline Kercher, la madre di Mez, ha sottolineato che «bisogna attenersi ai fatti e alle prove portate in tribunale che hanno portato alla sentenza. Non siamo investigatori ma abbiamo fiducia nella giustizia italiana e quindi ci rimettiamo alla sentenza». Secondo il padre della studentessa John, la possibilità che possa esserci un processo d’appello «non è una sorpresa. Ma la sentenza di ieri sera tira una riga. Mette un punto».

I fratelli di Meredith, Stefanie e John junior, hanno affermato che dopo l’omicidio di Meredith la vita della famiglia «é rimasta come sospesa. Abbiamo dovuto vivere tutto questo – hanno proseguito – passo per passo. Il vuoto lasciato da Meredith è molto grande anche se abbiamo ricevuto supporto da tutto il mondo e speriamo di continuare ad avere la stessa forza».

Patrick Lumumba

Contento per l’estito del processo di primo grado anche Patrick Lumumba, il giovane congolese finito in carcere nella prima fase delle indagini proprio in base alle dichiarazioni di Amanda knox.  «Nella mia mente – ha detto Patrick – sono rimasto in prigione, ma in questa sentenza ho sentito dentro di me una speranza che mi aiuta a uscire da questa situazione. Umanamente – ha però osservato – sono vicino ad Amanda. Non è così bello vedere qualcuno condannato quindi posso capire le ragioni di Amanda, anche se mi ha fatto del male. E per questo ieri sera non ho voluto parlare con i giornalisti. Non mi veniva da parlare, per rispetto». Commentando le lacrime di Amanda subito dopo la lettura della sentenza, Lumumba ha detto che «le sue in generale sono lacrime di coccodrillo, ma quelle di ieri potevano essere vere, perché non è facile».

Quanto al risarcimento disposto nei suoi confronti per il reato di calunnia da parte di Amanda (50.000 euro con una provvisionale immediatamente esecutiva di 10.000), il giovane ha spiegato di sentirsi soddisfatto poiché la sua richiesta era simbolica. «Per me – ha detto – era sufficiente il riconoscimento della responsabilità penale».