Stefano Cucchi, “morì per malnutrizione, non per botte”: motivazione sentenza

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Settembre 2013 - 13:25 OLTRE 6 MESI FA
Stefano Cucchi, "morì per malnutrizione": motivazione della sentenza

Stefano Cucchi

ROMA – Stefano Cucchi è morto di malnutrizione: lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna dei medici.

Nelle motivazioni della sentenza si sostiene che il giovane romano, arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale, è stato ucciso da una “sindrome da inanizione”, non per le botte subite, come sostenuto dalle parti civili, né per una crisi cardiaca, come sostenuto dalle difese.

Le motivazioni arrivano a quasi tre mesi dalla sentenza con la quale sono stati condannati per omicidio colposo il primario del ‘Sandro Pertini’ Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti (per il solo reato di falso ideologico), e assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, nonché gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.

La Corte ha ritenuto ”di dover condividere le conclusioni cui è giunto il collegio peritale, fondate su corretti, comprovati e documentati elementi fattuali cui sono stati esattamente applicati criteri scientifici e metodi d’indagine non certo nuovi o sperimentali, ma già sottoposti al vaglio di una pluralità di casi e al confronto critico degli esperti del settore”. La ”sindrome da inanizione” è ”l’unica in grado di fornire una spiegazione dell’elemento più appariscente e singolare del caso, e cioè l‘impressionante dimagrimento cui è andato incontro Stefano Cucchi nel corso del suo ricovero”.

Nelle motivazioni della sentenza di condanna dei medici che ebbero in cura Stefano Cucchi i giudici affermano che non possono essere condivise le tesi delle difese, secondo le quali il giovane sarebbe stato condotto alla morte da un‘improvvisa crisi cardiaca. Ancor meno posso essere condivise le conclusioni dei consulenti delle parti civili, secondo cui il decesso si sarebbe verificato per le lesioni vertebrali. “Anche questa tesi, si legge nella sentenza, presta il fianco all’insuperabile rilievo che non vi è prova scientifico-fattuale che le lesioni vertebrali abbiano interessato terminazioni nervose”.

Per i giudici i fatti descritti nella formulazione del capo d’imputazione “non consentono di ravvisare il reato di abbandono d’incapace, del quale non ricorre alcuno dei presupposti oggettivi né soggettivi, ma quello di omicidio colposo. Praticamente tutti i testi esaminati hanno negato che Cucchi, quantunque gravemente sofferente, fosse portatore di una ridotta capacità psichica”.

Per i giudici deve escludersi che le condotte descritte per i medici condannati

“siano volontarie; le stesse si prospettano piuttosto come colpose, e cioè contrassegnate da imperizia, imprudenza, negligenza sia per la omissione della corretta diagnosi, non avendo in sanitari individuato le patologie da cui era affetto il paziente, in particolare tenuto conto del suo grado di magrezza estrema, sia per avere trascurato di adottare i più elementari presidi terapeutici che non comportavano difficoltà di attuazione e che sarebbero stati idonei ad evitare il decesso, sia per avere sottovalutato il negativo evolversi delle condizioni del paziente che avrebbero richiesto il suo urgente trasferimento presso un reparto più idoneo”.

Sulle botte che sarebbero state date a Cucchi, i giudici scrivono: ”E’ legittimo il dubbio che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi (perché molto magro e tossicodipendente) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri” prima del suo arrivo in tribunale.

Ma

”Non è certamente compito della Corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui, e tuttavia sono le stesse dichiarazioni dei carabinieri che non escludono la possibilità di prospettare una ricostruzione dei fatti diversa da quella esternata da Samura Yaya”.

Si tratta di un immigrato del Gambia, che in qualità di testimone riferì di aver sentito di un pestaggio nelle celle del tribunale di Roma.  Per i giudici

”è indubitabile che nulla di anomalo si era verificato al momento dell’arresto e fino alla perquisizione domiciliare. Se qualcosa di anomalo si è verificato, ciò può verosimilmente collocarsi nel lasso di tempo che va tra il ritorno dalla perquisizione domiciliare e l’arrivo della pattuglia in caserma. In via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi che il Cucchi fosse stato malmenato dagli operanti al ritorno dalla perquisizione domiciliare, atteso l’esito negativo della stessa”.