Stefano Cucchi, la sentenza: “Morì per lesione alla vertebra e non di epilessia. Prima stava bene”

di redazione Blitz
Pubblicato il 6 Febbraio 2020 - 19:35 OLTRE 6 MESI FA
Stefano Cucchi, la sentenza: "Morì per lesione alla vertebra e non di epilessia. Prima stava bene"

Stefano Cucchi, la sentenza: “Morì per lesione alla vertebra e non di epilessia”. (Nella foto ansa Ilaria Cucchi, sullo sfondo il volto del fratello tumefatto)

ROMA – Stefano Cucchi morì per una lesione alla vertebra e non di epilessia. Prima del pestaggio stava bene. Lo scrivono, nero su bianco, i giudici della Corte d’Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza che ha condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 12 anni per il pestaggio e altri due, il maresciallo Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, per falso.

La morte di Stefano, secondo i giudici, fu “originata dalla lesione in S4 tale da determinare un’aritmia letale”. E’ definita, invece, “inconsistente la tesi della morte per Sudep (morte improvvisa per epilessia da pazienti in buono stato di salute, ndr), mera ipotesi non suffragata, anzi smentita, da alcuna evidenza clinica”.

A causare il decesso dunque, secondo quanto si legge nelle motivazioni, sarebbe stata “una concatenazione polifattoriale in cui essenziale, se non unico, è risultato un riflesso vagale connesso alla vescica neurogenica originata dalla lesione in S4 tale da determinare un’aritmia letale”. 

Fino alla sera del 15 ottobre del 2009 Stefano stava bene, sottolineano i giudici, “vivendo in una condizione di sostanziale benessere, se non avesse subito un evento traumatico”. Per evento traumatico la corte indica una “azione lesiva inferta da taluno”, un’azione che ha generato “molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte”.

“Una catena causale – afferma la corte – che parte, dunque, da un’azione palesemente dolosa illecita che ha costituito la causa prima di un’evoluzione patologica alla fine letale”. Per i giudici si tratta di “uno schema che, così, corrisponde perfettamente alla previsione normativa in tema di nesso di casualità tra condotta illecita ed evento e che, d’altra parte, rende chiara la differenza tra la mera causalità biologica, secondo la quale nessuna delle singole lesioni subite da Cucchi sarebbe stata idonea a cagionare la morte, e la causalità giuridico penale, nel rispetto della quale il nesso di causalità sussiste se quelle lesioni, conseguenza di condotta delittuosa, siano state tali da innescare una serie di eventi terminati con la morte, così come si è verificato nel caso in esame”.

“È indiscutibile – scrivono ancora i giudici – che la reazione tenuta da Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo sia stata illecita e ingiustificabile. Una azione violenta nel corso dello svolgimento del servizio d’istituto, per un verso facendo un uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio, per altro aspetto violando il dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”.

La Corte d’Assise rileva inoltre che “il fatto si è svolto in un locale della caserma ove nessuno estraneo poteva avvedersi di quanto stava accadendo, in piena notte ai danni di una persona decisamente minuta e di compressioni fisica molto meno prestante rispetto a quella dei due militari”.

E’ giudicato, infine, “credibile” dai giudici Francesco Tedesco, il carabiniere che per primo ha raccontato del pestaggio di Stefano Cucchi. Nelle motivazioni i magistrati spiegano la sua assoluzione dall’accusa di omicidio preterintenzionale e la condanna per falso a due anni e mezzo. “La narrazione del militare dell’Arma” sulle fasi del pestaggio avvenuto in caserma è stata riscontrata da diversi elementi probatori. Tedesco è intervenuto non soltanto per fare “cessare l’azione violenta” ma “ha spiegato in modo comprensibile e ragionevole il suo pregresso silenzio, sottolineando il muro che aveva avuto la certezza gli si fosse parato dinnanzi costituito dalle iniziative dei suoi superiori, dirette a non far emergere l’azione perpetrata ai danni di Cucchi, e a non perseguire la volontà di verificare che cosa fosse realmente accaduto, la sera in cui il geometra venne arrestato”. 

“Sono emozionata – ha commentato la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi – è esattamente tutta la verità così come l’abbiamo sostenuta e urlata invano per tanti anni. Parole semplici per una verità semplice che qualcuno ha voluto complicare e qualcun altro non vedere”. 

Fonte: Ansa