Stefano Cucchi, i pm: “Morì di fame come ad Auschwitz”. Condannare tutti

Pubblicato il 8 Aprile 2013 - 16:07| Aggiornato il 26 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Stefano Cucchi era “magro come i prigionieri di Auschwitz“, “morì di fame e di sete“, perché “isolato in ospedale e abbandonato” e non per le “lesioni subite” in cella a piazzale Clodio. I pm Barba e Loy al termine della requisitoria davanti alla III Corte d’Assise di Roma hanno perciò chiesto di condannare tutti gli imputati, agenti, medici e infermieri, a pene comprese tra i due anni e i sei anni e otto mesi di reclusione.

In particolare i pm Barba e Loy hanno chiesto la condanna più alta, sei anni e otto mesi di reclusione, per Aldo Fierro, il primario del reparto dell’ ospedale Sandro Pertini. A seguire i pm hanno chiesto sei anni per i medici Stefani Corbi e Flaminia Bruno, cinque anni e mezzo per i medici Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo e due anni per il medico Rosita Caponetti. Quattro anni di reclusione sono stati chiesti per i tre infermieri: Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Due anni di reclusione è la richiesta per per gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.

Nel corso della requisitoria, Francesca Loy ha sottolineato che Cucchi ”morì di fame e di sete, anche se c’erano una serie di patologie che lo hanno portato alla morte insieme alla mancanza di cibo”. ”Non servivano esperti per dirci la causa di morte – ha aggiunto il pm – Bastava vedere le foto. Stefano muore perché non è stato alimentato, curato per le patologie di cui soffriva, perché si è rifiutato di nutrirsi e perché nessuno dei medici si è curato di farlo nutrire. Le lesioni provocate dagli agenti penitenziari nelle celle di piazzale Clodio hanno avuto una valenza meramente occasionale sul piano della morte, non conseguenziale’‘. Per i rappresentanti dell’accusa, il comportamento dei medici e degli infermieri dell’ospedale ‘Pertini’ (dove Cucchi morì una settimana dopo il suo arresto per droga) ”non fu colposo, ma un chiaro sintomo dell’indifferenza che hanno avuto nei confronti di quel paziente”. Nessun dubbio, quindi, sulla configurabilità del reato di ‘abbandono d’incapace‘ per il personale medico del ‘Pertini’. ”Davanti ai rifiuti del giovane, un paziente maleducato, scontroso, medici e infermieri hanno lasciato perdere. Le loro carenze non sono solo negligenze, ma denotano proprio l’assoluta indifferenza nei confronti di Stefano”.

Il pm Loy ha poi aggiunto che Stefano ”era una persona di magrezza patologica, di quelle che abbiamo visto di rado, per lo più nei film che raccontano quanto successo ad Auschwitz”. Sulla questione delle lesioni riportate dal giovane, il messaggio della pubblica accusa è stato chiaro: “Secondo tutti i periti sono modeste anche se dolorose – ha detto il pm – Siamo convinti che le lesioni causate a Cucchi dalla polizia penitenziaria più che da un pestaggio siano state lesioni lievi, probabilmente determinate da un calcio o una spinta con caduta a terra. Una violenza gratuita inflitta a un detenuto che in quel momento teneva un comportamento ritenuto insopportabile”.

Per il resto, Cucchi ”era lungi dall’essere un giovane sano e sportivo. Era un tossicodipendente con conseguenze sul suo stato fisico e sugli organi vitali che tutti possiamo immaginare. Soffriva di crisi epilettiche e sono stati documentati 17 accessi a pronto soccorso negli ultimi dieci anni. Non è normale che uno va al pronto soccorso due volte l’anno da quando aveva 18 anni. I periti definiscono le sue condizioni di grave deperimento organico. Durante la degenza al Pertini ha perso dieci chili”.

La superperizia chiesta dal tribunale, attribuendo il decesso alle mancate cure dà sostanzialmente ragione ai pm sulla scelta di non contestare il reato di omicidio per le percosse subite da Stefano dopo l’arresto. I pm hanno aperto la loro requisitoria accusando chi, a loro avviso, ha voluto speculare fin dall’inizio sulla vicenda: “Tutti volevano farsi grandi con la morte di Cucchi”, ha detto il pm Barba. Un processo che la pubblica accusa – coprotagonista di aperte polemiche con i familiari del giovane – non ha esitato a definire “mediatico”. “I mass media – ha sostenuto ancora il pm – hanno influenzato l’opinione pubblica. C’è chi ha voluto dare una rappresentazione della realtà diversa da quella emersa dal processo”.

Per la famiglia del Cucchi si tratta di affermazioni “inaccettabili e gravemente offensive”. La sorella,  Ilaria Cucchi, ha detto: “Continuo a chiedermi chi sono gli imputati nel processo per la morte di mio fratello. Affermare, o peggio alludere al fatto che noi non avessimo riferito ai carabinieri, durante la perquisizione in casa nostra, che Stefano avesse anche un’altra casa a Morena per nascondere la droga, da noi stessi poi ritrovata e denunciata, è un comportamento intollerabile oltre che incomprensibile. Tra l’altro nessuna indagine è stata fatta su chi l’abbia data a Stefano. I pm nella loro ansia accusatoria dimenticano che mio padre aveva regolarmente denunciato alla Questura la presenza di Stefano in quella casa”.

Tre sono i punti focali che secondo la pubblica accusa emergono dal processo per la morte di Stefano Cucchi: il giovane fu picchiato nelle celle di Piazzale Clodio (dove era in attesa dell’udienza di convalida del suo arresto) da parte di agenti della Penitenziaria; fu ricoverato al ‘Pertini’ pur non sussistendone le condizioni perché si voleva isolarlo dal mondo, dai suoi familiari, dal suo difensore; morì per la gravissima incuria e omissioni di medici e infermieri, dopo un vero e proprio abbandono. Per il pm Barba il decesso del giovane ”non poteva essere considerato naturale. Cucchi e la sua malattia sono stati trattati come mera pratica burocratica”. “Nessun elemento nuovo è emerso; né sui carabinieri per i quali si ventilava avessero provocato lesioni a Cucchi prima del suo ingresso a Palazzo di giustizia; nessun elemento singolo ha potuto far emergere responsabilità diverse da quelle individuate. Nessuna delle lesioni riscontrate tecnicamente si può dire possano essere state arrecate al momento della fase dell’arresto”.