Stefano Leo, perché Said Mechaquat non era in carcere? Il Presidente della Corte d’Appello chiede scusa

Stefano Leo, Said Mechaquat doveva essere in carcere da un pezzo. Il ministero medita invio ispettori
Stefano Leo, Said Mechaquat doveva essere in carcere da un pezzo. Il ministero medita invio ispettori

TORINO – Doveva essere in carcere da un pezzo Said Mechaquat, il 27enne reo confesso dell’omicidio di Stefano Leo ai Murazzi di Torino. Invece era libero, per un errore giudiziario. Per questo il Ministero della Giustizia vuole vederci chiaro: sta acquisendo informazioni, sebbene non abbia ancora provveduto ad inviare gli ispettori. E il presidente della Corte d’Appello, Edmondo Barelli Innocenti, chiede scusa alla famiglia Leo: “Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo. Non consento di dire che la Corte d’appello sia corresponsabile dell’omicidio. Qui abbiamo fatto quello che dovevamo fare”. 

“C’è stato un problema. Posso scusarmene, ma non c’è nessuna certezza che Mechaquat Said – ribadisce – potesse essere ancora in carcere il 23 febbraio”. L’errore sarebbe stato commesso nel 2018, quando è diventata definitiva una condanna contro Mechaquat a un anno e sei mesi per maltrattamenti in famiglia. Senza condizionale. Tra la Corte d’Appello e la Procura, però, si è verificato un corto circuito e l’ordine di carcerazione non è mai stato spiccato. Cosa sia successo a Palazzo di Giustizia spetterà al ministero accertarlo. Fonti interpellate dall’Ansa affermano che in Procura le carte non siano arrivate. Non c’erano il 23 febbraio, quando Mechaquat ancora a piede libero ha potuto uccidere Stefano piantandogli un coltello in gola, per poi allontanarsi a passo svelto indisturbato, in una delle zone del centro storico più affollate. 

Il presidente Innocenti ha ammesso l’errore ma ne fa una questione di Corti oberate di lavoro: “Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno”, ha aggiunto.

Il presidente della Corte d’Appello precisa inoltre che “la cancelleria ha come input quello di far eseguire le sentenze più gravi, sopra i tre anni, perché al di sotto si ha la possibilità di ottenere l’affidamento in prova”. E Said Mechaquat, spiega Innocenti, “poteva avere accesso a pene alternative”. “Non c’è nessuna garanzia che il 23 febbraio (giorno del delitto, ndr) il signor Mechaquat fosse in carcere. Ogni sei mesi – ha aggiunto – ci sono 45 giorni di beneficio; inoltre, anche se l’imputato è stato condannato con sentenza definitiva, viene osservato e può accedere a misure alternative”.

Said era stato condannato in primo grado nel 2015 per le botte e i soprusi cui avrebbe sottoposto la ex compagna. Il suo ricorso in appello è stato giudicato inammissibile nel 2018, rendendo esecutiva la pena. A quel punto, in base alla legge, la Corte avrebbe dovuto rinviare la palla alla Procura presso il Tribunale. Ma a quanto pare non è successo. Così, il 23 febbraio si è appostato in un vialetto alberato in riva al Po, ha atteso pazientemente che passasse qualcuno da uccidere. E ha ucciso. “Volevo togliere il futuro a un ragazzo come me”, è stata la storia incomprensibile che ha raccontato ai carabinieri dopo avere passato un altro mese a piede libero.

Non sarebbe neppure la prima volta che a Torino i riflettori si accendono sulla Corte d’appello. La cronica scarsità del personale e la quantità dei fascicoli da smaltire sono da tempo un problema. Il record nei ritardi è probabilmente stato segnato nel 2016, quando fu discusso un processo per una rapina commessa a Novara nel 1994: il bottino era ancora in lire. A febbraio 2017 i magistrati chiesero pubblicamente “scusa al popolo italiano”, in piena udienza, perché un fascicolo per violenza sessuale era caduto in prescrizione. Nel settembre successivo subì la stessa sorte un caso di stupro su un minore vecchio di 16 anni.

A partire dal 2015, quando il presidente era Arturo Soprano, ora in pensione, sono state attivate commissioni speciali, criteri di priorità, sezioni stralcio. Il nuovo presidente, Edoardo Barelli Innocenti, già all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 sottolineava che le Corti d’appello “sono oberate da un flusso continuo di nuove impugnazioni mentre le forze a disposizione non sono sufficienti per la mole di lavoro”. Le carte si accumulano e il personale non riesce a smaltire le pratiche. (Fonte: Ansa)

 

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