Taranto, gli 8000 dell’Ilva: “Meglio il rischio-cancro della fame”

Pubblicato il 31 Marzo 2012 - 11:45 OLTRE 6 MESI FA

TARANTO – Gli operai dell’Ilva di Taranto si trovano davanti a un difficile dilemma: lasciare che la fabbrica chiuda e con lei finiscano anche le nubi che intossicano il territorio o lottare per difendere il posto di lavoro che al Sud è prezioso più dell’oro? In ottomila a Taranto sono scesi in piazza per dire che la fabbrica non deve chiudere, altrimenti l’alternativa è la fame. Il dilemma, durissimo, è tra il cancro e la fame. Meglio l’eventualità di una malattia che la disoccupazione sicura.

La storia di questi operai la racconta il Corriere della Sera: «Vedi, io non vorrei morire di cancro, ma neppure di fame», ci dice un veterano, trent’anni di «area a caldo»: «Ma il cancro è solo eventuale; se l’Ilva chiude, la fame invece è sicura». Così oggi gli operai sfilano ignorando il sindacato che aveva detto no a questa «manifestazione padronale»: «Meglio fidarsi del padrone che ci dà il pane», ci dicono i giovani, ormai tanti, coi piercing e i tatuaggi esibiti, la voglia di scappare via appena possibile dall’inferno preso in eredità dai padri.

In Tribunale, intanto, i consulenti nominati dal gip Patrizia Todisco hanno illustrato gli esiti della perizia medico-epidemiologica disposta per accertare l’eventuale nesso di causalità tra inquinamento, morti e malattie. I tre professori scelti dal gip hanno scritto una perizia che non lascia molti dubbi: “L’esposizione continuata agli inquinanti emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi dell’organismo che si traducono in eventi di malattia e morte”. Ma per gli operai dell’Ilva peggio del cancro c’è la disoccupazione.