Morta da 18 anni, cammina e vive la Commissione Highlander delle tasse. Fino al 2021

Pubblicato il 7 Aprile 2010 - 15:49 OLTRE 6 MESI FA

Questa è la storia di una Commissione immortale, storia infinita, storia di Stato. C’era una volta, anzi c’è ancora la Commissione tributaria centrale: soppressa nel 1992 dal primo governo Amato, era, anzi è, l’organo competente a giudicare i ricorsi dei contribuenti come “terzo grado” di giudizio. Come “era” ed anche “è”? Ecco com’è.

Prima, litigando con il fisco, si ricorreva alle Commissioni provinciali, poi in seconda istanza a quelle regionali e poi, per finire, alla cosiddetta “Cassazione del fisco”, appunto la famosa Commissione. La decisione presa dall’ultimo esecutivo di Giulio Andreotti, e poi messa in pratica da Amato, aveva come obiettivo quello di eliminare un organismo giurisdizionale inefficiente che, in oltre un secolo di vita, aveva accumulato milioni di cause. Da quel momento, chi volesse riesaminare le controversie tributarie in terzo grado poteva rivolgersi alla vera Corte di cassazione. Dunque Commissione cancellata. In teoria…

Il decreto legislativo che mandava in pensione la Commissione aveva posto un’unica eccezione: l’arretrato accumulato al 31 dicembre 1992 sarebbe rimasto di competenza dell’organo centrale. Da allora, dunque, la Commissione continua in pratica ad esistere e funzionare, nel tentativo di smaltire le cause in attesa di definizione. La Corte dei conti precisa che, al 31 dicembre 2008, i ricorsi ancora pendenti sono 229.416. A questo ritmo la Commissione durerà ancora fino al 2021.

Nel 2007 il governo Prodi ha addirittura previsto nella legge Finanziaria una nuova regola per la Commissione: via l’ufficio centrale di Roma, meglio dividere il terzo grado di giudizio in tante sezioni locali. Risultato: l’arretrato è tornato ad accumularsi nei successivi dodici mesi perché per un anno intero il personale non ha fatto altro che suddividere il lavoro Regione per Regione. La Commissione immortale presenta anche un altro paradosso; per essere un istituto ormai abrogato, la scelta del suo presidente continua a scatenare polemiche politiche.

Prima Romano Prodi ha nominato Antonio Acconcia, a Camere già sciolte e attirandosi le proteste del centrodestra. Poi il Pdl, tornato al governo, lo ha sostituito con il presidente del Consiglio di Stato Paolo Salvatore, con proteste identiche stavolta provenienti dal Partito democratico.