Tetto-Monti, manager muti. Paura di prendere meno di un direttore Asl?

Pubblicato il 23 Febbraio 2012 - 10:26 OLTRE 6 MESI FA
patroni griffi

Filippo Patroni Griffi (Foto Lapresse)

ROMA – Per imporre il tetto massimo ai redditi dei manager è caccia alle dichiarazioni dei redditi, e intanto si potrebbe arrivare al paradosso che un dirigente della Regione Lombardia o un direttore della Asl guadagnerà più di un ragioniere generale dello Stato. Effetto dei “buchi” del decreto Salva Italia. Perchè? Perchè il tetto di reddito, che sembra sia stato fissato una volta per tutte a 295mila euro, non si applicherà ai dirigenti di Regioni, enti locali, società regionali e municipalizzate. Per le società statali poi ci saranno dei tetti “variabili”: insomma saranno parecchi i manager che si potranno salvare dalla mannaia del tetto di reddito. E intanto quelli che invece nelle misure “contenitive” del reddito ci rientrerebbero benissimo fanno ostruzione: oggi 23 febbraio il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi prevede di dare al Parlamento la lista dei dirigenti statali (si stima un centinaio di persone) che hanno una retribuzione oltre 295 mila euro l’anno. Peccato che di dichiarazioni dei redditi al ministero non ne sia arrivata nemmeno l’ombra e sia difficile anche risalire, tramite i dati che ha il Tesoro, alle loro reali retribuzioni.

Vediamo i ‘buchi’ del Salva Italia. Prima di tutto, scrive Sergio Rizzo sul ‘Corriere della Sera’, c’è il capitolo delle società statali: per loro ci saranno dei tetti variabili, per fasce “sulla base”, dice il decreto, “di indicatori quantitativi e qualitativi”. Indicatori che avrebbe dovuto stabilire con un decreto il Tesoro entro lunedì scorso: si è arrivati in ritardo e ora la successiva scadenza è stata rinviata al 31 maggio.

Poi c’è il capitolo dei dirigenti di Regioni ed enti locali: il ‘Salva Italia’ li esclude dal tetto per via delle prerogative costituzionali e delle “sensibilità autonomistiche”. Questo che significa? Che magari il ragioniere generale dello Stato andrà a prendere massimo 295mila euro e un direttore della Asl molto di più.

Per non parlare delle società regionali e municipalizzate, escluse anche loro dal tetto, e nelle quali si toccano spesso retribuzioni che non hanno nulla da invidiare a quelle delle grandi imprese statali per le quali verranno invece introdotti dei limiti. Come dimostrano le vicende del Comune di Roma. Il precedente amministratore delegato dell’Ama (la società di raccolta dei rifiuti), Franco Panzironi, cumulava redditi per 490.225 euro. Gioacchino Gabbuti, attuale amministratore delegato di Atac, ha un reddito di 596 mila euro, mentre l’ex capo dell’Atac Adalberto Bertucci si fermava a 359 mila. Da Roma a Milano, dove la retribuzione dell’ex presidente dell’Atm Elio Catania, sostituito la scorsa estate dal nuovo sindaco Giuliano Pisapia, si attestava tutto compreso sui 450 mila euro. Duecentomila in meno rispetto alla paga del direttore e amministratore della Sea, Giuseppe Bonomi.

C’è poi il nodo delle dichiarazioni dei redditi che non si trovano. I manager fanno ‘ostruzionismo’ e non li hanno consegnati al ministero. Fecero ostruzionismo, ricorda Rizzo, anche al tempo di Romano Prodi che tentò di imporre lo stesso tetto massimo ai redditi dei manager. Interpretando la norma nel senso che il famoso tetto dello stipendio del primo presidente di Cassazione non si doveva applicare alla somma di tutti gli emolumenti, ma soltanto agli incarichi aggiuntivi i manager fecero sì che chi portava a casa una paga da mezzo milione la manteneva, dovendo fare il “sacrificio” di accontentarsi di 295 mila euro in più per gli extra.

Tornando ad oggi, il ministero ha tentato comunque di ricavare da solo i dati relativi ai redditi dei super-manager. Ma alla Funzione pubblica ci sono solo i dati dei direttori generali: mancano quelli di capi dipartimento, responsabili delle agenzie e altre persone che hanno ruoli “apicali”. Quelli ce li ha il Tesoro: il ministero allora è andato a rovistare nel centro di Latina, responsabile dei cedolini degli stipendi statali. Ma, ricorda Rizzo sul ‘Corriere’, nemmeno i cedolini basteranno, perché nel tetto devono essere compresi anche gli emolumenti relativi agli incarichi supplementari. Perché nel tetto devono essere compresi anche gli emolumenti relativi agli incarichi supplementari. Come quelli che molti burocrati ricoprono in aziende pubbliche. Un esempio? Nel 2010 l’incarico di vicepresidente di Equitalia, come si ricava dall’ultima relazione della Corte dei conti su quella società, dava diritto a un compenso complessivo di 465 mila euro. Somma addirittura superiore di 170 mila euro non soltanto al tetto del salva Italia, ma anche a quello, identico, già fissato dal regolamento scritto da Renato Brunetta un paio d’anni fa, secondo il quale nessun incarico aggiuntivo avrebbe comunque potuto oltrepassare lo stipendio del primo presidente di Cassazione. Una falla evidente e clamorosa della quale sarebbe stato facile accorgersi se quei dati, anziché essere pietosamente nascosti nelle note integrative dei bilanci, fossero stati pubblicati con tutta evidenza su Internet come ci era stato garantito dall’ex ministro dell’Innovazione.