Torino, va in clinica per abortire, la assalgono. “Erano volontari per la vita, uno col camice”

di Enrico Messina*
Pubblicato il 26 Ottobre 2010 - 15:29 OLTRE 6 MESI FA

“Mi hanno urlato “assassina”, “malata di mente”. Ero inorridita. Ho tagliato corto e sono entrata. Quando sono uscita hanno ricominciato. Un’esperienza gradevolissima, che non dimenticherò”. Maria, 34 anni, impiegata, racconta di quella giornata di fine agosto, quando si è recata al Sant’Anna di Torino. Doveva andare in ospedale per un controllo, dopo aver preso la pillola Ru486 che aveva interrotto la sua gravidanza. Decisione sofferta, maturata fra mille difficoltà, Fuori dal Sant’Anna, l’aggressione dei volontari per la vita. Uno di loro, quello che le ha dato della “malata di mente”, portava il camice.

“Sul marciapiede di via Ventimiglia – racconta Maria – mi ha avvicinato una donna che stava volantinando per il Movimento per la vita e ha cominciato a dirmi se sapevo cosa succedeva in quel posto, quale luogo orrendo fosse, un abortificio. Ero lì per un controllo e non ero tranquilla, non avevo certo voglia di stare a sentire, le ho detto che ero in ospedale proprio per un aborto, che per una donna non era certo una scelta facile, che mi lasciasse in pace. Ovviamente non sapeva che avevo già abortito, mi ha detto che potevano aiutarmi, sostenermi. L’uomo in camice bianco, forse un infermiere, che stava dietro di lei e stava distribuendo volantini ha sentito quello che stavo dicendo e ha cominciato ad urlare che eravamo delle assassine, che le donne che abortiscono commettono un omicidio, sono malate di mente. Ho alzato la voce anch’io, gli ho detto che prima di ogni altra considerazione, da uomo non poteva capire cosa poteva provare una donna. Lui ha alzato la voce ancora di più, ha detto che avrei potuto partorire e poi far adottare mio figlio”.

La donna ha chiesto ai medici che lavorano nel reparto interruzioni di gravidanza se sapevano cosa accadeva fuori. “Mi hanno confermato che spesso erano lì fuori a volantinare, che cercavano di non mettersi proprio davanti all’ingresso. Poi ho parlato con altre donne che stavano aspettando come me. Una aveva il volantino in mano, un’altra mi diceva che aveva abortito ma era consapevole di aver commesso un peccato. Ho provato una sensazione di angoscia, sono convinta che ogni donna in quelle condizioni scelga e sappia perfettamente che qualsiasi sia la decisione pagherà un prezzo”.

Maria ha deciso di raccontare questa storia perché, dice, «leggo sui giornali dell’intenzione della Regione di portare in ospedale persone che vogliono convincerti che stai commettendo un omicidio. Sono allibita dall’idea che un uomo come quello, che peraltro portava il camice e diceva di avere tutte le competenze per poter parlare, possa essere uno di quelli che una ragazzina potrebbe trovarsi davanti, magari scambiato per una figura istituzionale. Uno choc».

*Scuola di giornalismo Luiss

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