Udine, strage di Natale: Cassazione annulla la sentenza del 2008

Pubblicato il 19 Ottobre 2012 - 01:43 OLTRE 6 MESI FA
Una voltante della polizia

UDINE – La seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza pronunciata il 5 dicembre 2008 dalla Corte d’assise e d’appello di Trieste per la strage dell’antivigilia di Natale a Udine nel 1998. In secondo grado erano stati condannati all’ergastolo gli albanesi Ilir Mihasi, di 41 anni, e Saimir Sadria, di 34, per omicidio plurimo aggravato; altri due imputati, l’ucraina Tatiana Andreicik, di 33 anni, e l’italiano Nicola Fascicolo di 52, erano stati assolti.

La Suprema Corte, presieduta da Matilde Camino, relatrice Giovanna Verga, in un collegio composto anche dal giudice Piercamillo Davigo, ha accolto tutti i motivi delle difese che contestavano le condanne sia sul fronte dell’associazione mafiosa sia dell’omicidio plurimo. Il processo per la morte dei tre agenti delle Volanti della Questura di Udine – Giuseppe Guido Zanier, Paolo Cragnolino e Adriano Ruttar – deceduti alle prime luci del 23 dicembre 1998 nello scoppio dell’ordigno piazzato in viale Ungheria, davanti alla saracinesca di un negozio di telefonia, e’ quindi da rifare. Una volta depositati i motivi gli atti torneranno a Trieste. L’avvocato Alberto Tedeschi, per Mihasi, e Laura Luzzato Guerrini per Sadria, avevano proclamato la loro innocenza fin dal primo momento, quando avevano suggerito altre piste investigative da seguire.

La Cassazione ha fatto cadere la condanna per associazione mafiosa pronunciata anche nei confronti di Tatiana Andreicik e Nicola Fascicolo, difesi dagli avvocati Luzzato e Maurizio Miculan, oltre che dei due imputati Vincenzo Cifarelli e Vatai Sander, due posizioni ”minori” nell’ambito dell’associazione a delinquere. Lo stesso Procuratore generale Esposito, nell’udienza odierna, aveva fatto propri i motivi di ricorso presentati dagli avvocati friulani.

La bomba che scoppiò l’antivigilia di Natale del 1998, poco dopo le cinque del mattino, uccise i tre agenti, attirati da un allarme lanciato dalla vicina stazione. In un primo tempo si pensò a una vendetta nei confronti del titolare del negozio, ma ben resto questa pista venne abbandonata. Il sostituto procuratore della repubblica, Raffaele Tito, indagò sulla Udine notturna di quegli anni e portò alla luce una organizzazione criminale albanese che ‘controllava’ traffici di droga e prostituzione nel capoluogo friulano.

In sede di processo le accuse di strage non ressero al dibattimento ma rimase l’accusa di associazione mafiosa e sfruttamento della prostituzione. In sede d’appello, a dieci anni dalla strage, arrivarono due condanne per omicidio plurimo aggravato per i cittadini albanesi, considerati ”braccio armato” della cosca mafiosa, mentre la donna e l’italiano furono scagionati.