Tregua all’Università di Bologna, il rettore placa gli animi: “Niente ultimatum”

Pubblicato il 16 Settembre 2010 - 16:49 OLTRE 6 MESI FA

L'Università di Bologna

Occhi aperti e tregua armata all’Università Alma Mater di Bologna. I ricercatori sono sul piede di guerra da quando l’ateneo ha deciso di sostituire con professori a termini i ricercatori che non si recheranno a fare lezione in opposizione alla riforma Gelmini. Ma mentre l’agitazione all’Università continua è arrivata, mercoledì, la lettera “distensiva” del rettore dell’Alma Mater, Ivano Dionigi che dice: siamo stati fraintesi, il nostro non era un ultimatum.

Mercoledì è stata inviata dal rettore una lettera-censimento ai presidi dell’Università di Bologna e da questi girata via mail ai ricercatori, per contare, entro venerdì, quanti sono disponibili a insegnare e quanti gli anti-Gelmini favorevoli al blocco della didattica. Allo stesso tempo il rettore Ivano Dionigi ha inviato un’altra lettera rivolta direttamente ai ricercatori (1.249 quelli dell’ateneo) in cui ha ribadito ”la disponibilità mia personale e del Senato accademico alla ricerca di soluzioni possibilmente condivise, che contemperino le ragioni dei ricercatori con il rispetto dei nostri obblighi verso la società e gli studenti”. Non ha specificato quali, ma ha ricordato di voler convocare la prossima settimana il Senato accademico, il quale ”deve ancora analizzare gli scenari e decidere quali soluzioni conseguenti adottare”.

Anche per questo Dionigi ha ribadito che la lettera dei presidi (votata martedì all’unanimità dal Senato accademico) non va intesa come un ultimatum nè nei tempi (”E’ chiaro a tutti che la ricostruzione del quadro informativo sull’intero ateneo richiedera’ tempo, almeno fino ai primi giorni della settimana prossima”) nè nei modi.

Eppure per molti nel mondo della ricerca, quella lettera suona come una pressione, per di più controproducente. ”Quel fastidio ha provocato una più rapida e massiccia adesione alla protesta”, commenta Daniele Bigi, ricercatore di agraria da 15 anni e che da tempo tiene uno-due corsi l’anno. Nella sua facoltà a luglio si erano espressi per il blocco della didattica 60 colleghi su 76. ”Credo che i numeri resteranno quelli, se non anche di più”. Ancor più netto il collega Federico Condello, da cinque anni ricercatore a lettere e rappresentante della categoria. ”Non ci sentiamo minimamente in grado di accettare l’ultimatum, e crediamo che saremmo degli irresponsabili a prendere una decisione cosi’ importante in due giorni”, spiega.

Come nel resto d’Italia, anche i ricercatori bolognesi non sono obbligati a insegnare. Possono chiederlo, con un modulo ad hoc da inviare di anno in anno, e devono avere l’ok. Ma poi non percepiscono alcun contributo in piu’. Anche per questo, secondo Condello, la loro protesta non e’ uno sciopero vero e proprio. ”La nostra e’ una sveglia che lanciamo, attraverso l’Universita’, al legislatore che e’ il nostro interlocutore. Vogliamo capire quanta importanza il legislatore vuole dare alla ricerca e al nostro ruolo”.