Uno bianca: permesso premio a Occhipinti, parteciperà alla via Crucis

Pubblicato il 30 Marzo 2010 - 17:53 OLTRE 6 MESI FA

Marino Occhipinti

Marino Occhipinti, l’ex poliziotto detenuto dal 29 novembre 1994 con una condanna all’ergastolo per i crimini commessi con la banda della Uno bianca, potrà uscire per la prima volta dal carcere di Padova. Il 2 aprile potrà così partecipare alla Via crucis organizzata a Sarmeola di Rubano, nel Padovano, da Comunione e Liberazione presso l’Opera della provvidenza di Sant’Antonio.

Il permesso durerà soltanto poche ore, dalle 13.30 alle 19. Occhipinti potrà incontrare i suoi familiari in un ambiente diverso dal carcere.

Con questa prima concessione, la strada per uscire ogni tanto dal carcere grazie a piccoli “benefici” è meno in salita. E per i giudici e l’amministrazione penitenziaria, Occhipinti — 45 anni, ex poliziotto della Mobile di Bologna, membro minore della banda, condannato per l’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari durante l’assalto a un furgone davanti alla Coop di Casalecchio nel febbraio ’88 — dopo quasi 16 anni dietro le sbarre, è pronto per farlo. Un convincimento, questo, destinato a suscitare polemiche e condanne da parte dell’associazione familiari delle vittime della banda dei Savi.

Occhipinti, ex poliziotto della squadra mobile di Bologna, è stato condannato per associazione a delinquere, omicidio volontario e rapine. Da quando è in carcere, dal 29 novembre 1994, non ha mai ottenuto un permesso. Ieri, 29 marzo, per la prima volta, un giudice, Giovanni Maria Pavarin, ha firmato il decreto per la concessione del premio. L’avvocato Milena Micele ha parlato di tre pagine di motivazioni “puntigliose e precise, in cui non c’è solo un richiamo agli articoli di legge che consentono i permessi, ma anche l’analisi di più profili, ad esempio la sua condotta in carcere, il grado di pericolosità sociale, la dissociazione concreta che è stata riconosciuta da una sentenza di appello del 2001 come attuata da Occhipinti nel 1988, il suo percorso di rivisitazione critica, oltre che il parere della direzione carceraria”.

Tutto questo però non basta ai famigliari delle vittime: “Sappiamo che la legge è dalla sua parte ma noi non possiamo perdonarlo. Se il giudice ci avesse informato prima, noi non gli avremmo detto “No, non lo faccia”, ma almeno un minimo di sensibilità avrebbe potuto averla. I giudici non si mettono mai dalla parte delle vittime”. Ma il giudice Pavarin non può che appellarsi al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Quello sulla finalità rieducativa della pena.