Vernazza e la reggia dei Borbone: l’Italia abbandonata dallo Stato

Pubblicato il 20 Marzo 2012 - 12:20 OLTRE 6 MESI FA

VERNAZZA (AL SPEZIA) – Non sono passati neppure cinque mesi dall’alluvione che il 25 ottobre 2011 seppellì Vernazza sotto quattro metri di fango e detriti. Il 19 marzo Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera, è tornato nel borgo delle Cinque Terre liguri e ha constato che il paese è tornato a vivere.

Tutto merito degli abitanti, che hanno fatto sparire dal loro paese sessantamila metri cubi di detriti. E domani accoglieranno il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Vernazza per partecipare al convegno “Dall’emergenza alla prevenzione, risorse e politiche per il territorio”.

Ha spiegato il sindaco Vincenzo Resasco: “I tecnici mi hanno detto che qui, in sole 24 ore, è caduta una quantità d’acqua pari a due Vajont. Dobbiamo imparare a convivere con queste alluvioni tropicali, per questo abbiamo organizzato il convegno, invitando i Comuni colpiti da quel dramma”.

Ad aiutare Vernazza sono anche i volontari che ogni sabato arrivano da tutta Italia. La cosa forse più difficile è stato dover ottimizzare i pochi soldi rimasti nelle casse comunali e gli aiuti arrivati dalla Regione Liguria, privilegiando il fronte mare e il centro storico, e quindi puntando sui turisti, indispensabili per la sopravvivenza economica del paese.

Gli aiuti dello Stato non arrivano neppure se si tratta di regge borboniche, come la villa di Carditello, vicino a Capua, che un tempo fu la Versailles agreste dei Borbone. La reggia agreste istituita da Carlo di Borbone come dimora di caccia perché circondata da boschi pieni di cervi, fagiani, cinghiali, progettata da Francesco Collecini, braccio destro di Luigi Vanvitelli, è oggi abbandonata al degrado totale.

Ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, citando il Corriere del Mezzogiorno, che la villa venne abbandonata fino a quanto, nel 1920, immobili e arredamento passarono dal demanio all’Opera nazionale combattenti, mentre i 2.070 ettari di parco vennero lottizzati e venduti. Si salvarono solo l’edificio centrale e i 15 ettari circostanti, che nel secondo dopo guerra entrarono a far parte del patrimonio del consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno, “via via affogato in un mare di debiti”, scrive Stella.

E circondata da “montagne di rifiuti, più o meno puzzolenti e tossici, in discariche illegali allestite dalla camorra o più o meno legali ma spropositate, la reggia è stata giorno dopo giorno cannibalizzata”.

Quel che resta dell’antica reggia è poco: i ladri, scrive Stella, “Hanno scalpellato e rubato i camini antichi scampati alla razzia dei nazisti e quelli finto-antichi che avevano preso il loro posto. I pavimenti di cotto. I gradini di marmo di una delle due grandi scalinate centrali. Le acquasantiere della cappella, spaccate durante la rimozione così da lasciare osceni spuntoni che escono dal muro. I simboli in marmo dei Borbone. Pezzi di affreschi di Jacob Philip Hackert e Fedele Fischetti staccati dalle pareti con la stolta e criminale imperizia di analfabeti attirati dall’idea di farsi qualche centinaio di euro vendendo questi ritagli sul mercato nero o a qualche capozona dei Casalesi”.

“Solo in questi giorni il custode giudiziario, l’avvocato Luigi Meinardi, ha potuto accorgersi che nonostante avesse fatto murare tutti i cancelli della villa per arginare almeno in parte la razzia, i vandali mandati forse da qualche boss camorrista deciso a “ingentilire” qualche suo villone sparso in questa ex campagna stuprata dall’edilizia più brutta del Creato, si sono portati via quasi tutto il pavimento e quasi tutte le colonnine che reggevano le balaustre dell’altana che svetta sui campi e le discariche”.

I ladri si sono portati via anche l’allarme. “Come si sono portati via tutto l’impianto elettrico, la centralina, i quadri di comando, i fili passati nelle canaline: tutto. Assolutamente tutto. Al punto che oggi a Carditello non c’è più neppure la luce elettrica”.