Veronesi: “Il cancro dimostra che Dio non esiste”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Novembre 2014 - 12:34 OLTRE 6 MESI FA
Veronesi: "Il cancro dimostra che Dio non esiste"

Umberto Veronesi (Foto Lapresse)

ROMA – “Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio”: Umberto Veronesi sintetizza così il proprio percorso di allontanamento dalla fede. Di fronte alla sofferenza dei malati di tumore, non c’è Dio che possa riscattare l’uomo, sostiene l’oncologo, non c’è verità rivelata che possa lenire il dolore di due genitori che perdono un figlio malato di cancro.

Veronesi racconta il proprio allontanamento dalla religione nel suo libro “Il mestiere di uomo” (edito da Einaudi), che è stato parzialmente riportato dal quotidiano Repubblica e da Huffington Post, che ha titolato proprio con la forte presa di posizione del ricercatore: “Il cancro dimostra che dio non esiste”.

Ecco alcuni estratti del libro di Veronesi.

 “Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima. Durante il liceo fui bocciato due volte, ero un discolo in senso letterale: non andavo bene a scuola. Di fatto sono sempre stato anticonformista, ribelle ai luoghi comuni e alle convenzioni accettate acriticamente, e questa mia natura mal si conciliava con l’integralismo della dottrina cattolica che era stata il fondamento della mia educazione di bambino.

“A diciotto anni non volevo andare a combattere, ma finii in una retata e mi ritrovai con indosso un’uniforme che non aveva per me alcun valore e fui ben armato per uccidere altri ragazzi, in tutto e per tutto uguali a me salvo per il fatto che indossavano una divisa diversa.

“Oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: Dov’era Dio ad Auschwitz?

“La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare. Da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro.

“Ho pensato spesso che il chirurgo, e soprattutto il chirurgo oncologo, abbia in effetti un rapporto speciale con il male. Il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia.

“Ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata. Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del “non so”.