Vesuvio, ricercatrice Cnr: “Dopo incendi rischio idrogeologico”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Agosto 2017 - 07:29 OLTRE 6 MESI FA
Vesuvio, ricercatrice Cnr: "Dopo incendi rischio idrogeologico"

Vesuvio, ricercatrice Cnr: “Dopo incendi rischio idrogeologico”

NAPOLI – Sos per le conseguenze degli incendi che hanno devastato nelle settimane scorse il Parco del Vesuvio: “Non solo perdita del patrimonio forestale, una delle conseguenze consiste nell’aumento del rischio idrogeologico per la potenziale invasione di flussi fangoso-detritici nelle aree urbane, a valle dei versanti devastati dal fuoco”.

A lanciare l’allarme è Silvana Pagliuca, geologa, ricercatrice dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr), che ha pubblicato una news nel sito del Consiglio nazionale delle ricerche.

“L’immagine tratta da Copernicus – scrive la ricercatrice – evidenzia le aree devastate dagli incendi che erano ancora attivi sul versante settentrionale del Monte Somma e in quello sud occidentale del Vesuvio. Il problema conseguente alla devastazione della vegetazione è rappresentato dall’incremento del rischio idrogeologico per le aree a valle che possono essere interessate da scorrimento di flussi fangoso-detritici se i versanti verranno interessati da nubifragi nei prossimi mesi”.

Nella parte incendiata del Vesuvio, rileva la geologa, “non è presente una marcata rete idrografica, per cui un eventuale deflusso rapido di acqua, fango e detriti vari potrebbe seguire vie artificiali (per esempio, strade), fino a raggiungere ”depressioni morfologiche più marcate in cui avverrebbe la canalizzazione”.

“Le vie di scorrimento interessano aree variamente urbanizzate, dove un flusso fangoso-detritico rapido potrebbe causare devastazioni varie e danni alle persone, soprattutto in seguito a nubifragi intensi e improvvisi”.

Insomma una situazione molto pericolosa. “Questo schema intende evidenziare la generalità del nuovo problema di sicurezza ambientale causato dall’incendio; è evidente che occorre elaborare un dettagliato piano di protezione civile per le aree a valle dei versanti incendiati che possono essere invase dai flussi fangoso-detritici”.

La cenere che dopo l’incendio ricopre il suolo rappresenta “un livello impermeabilizzante che favorisce lo scorrimento dell’acqua di pioggia; se la pioggia è tipo nubifragio (diverse decine di millimetri in alcune decine di minuti), i versanti incendiati possono essere interessati da intenso e concentrato ruscellamento”.

Questi flussi incanalati di tipo fangoso-detritico, soprattutto nelle parti più inclinate, possono evolvere rapidamente in flussi catastrofici rapidi in grado di causare danni considerevoli a manufatti e persone. Dall’inizio del nubifragio al sopraggiungere di flussi incanalati nelle aree urbane a valle, ci vogliono alcune decine di minuti come verificato in altre zone precedentemente devastate da flussi fangoso-detritici.

“Come rilevato a Montoro Superiore alcuni anni fa, sono sufficienti – spiega Silvana Pagliuca – 14 ettari di versante boscato incendiato per originare un flusso fangoso-detritico devastante. Le aree urbanizzate a valle delle aree incendiate si trovano ora nel periodo più delicato con i versanti ricoperti da ceneri e la possibilità che si verifichino nubifragi”. Tali aree non dispongono, attualmente, di alcuna difesa; i cittadini possono solo sperare che le prossime piogge non siano ‘tipo nubifragio, in modo che poco alla volta la cenere sia dilavata.

Che fare? “Gli interventi di mitigazione degli effetti potenziali conseguenti a nubifragi su aree incendiate pertanto sono rappresentati da: elaborazione di piani di protezione civile consistenti in un intervento di pulizia degli alvei liberandoli da detriti vari; delimitazione delle aree urbane potenzialmente interessate da flussi fangoso-detritici; attivazione di un sistema di allarme idrogeologico immediato consistente in una rete di pluviometri ubicati lungo i versanti incendiati. Ne occorrerebbero almeno cinque in grado di registrare le precipitazioni ogni tre minuti, collegati con una centrale di monitoraggio dove affluiscono i dati pluviometrici”.