Villa Pliniana, comprata nel 1983: 33 anni per restaurarla

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Ottobre 2015 - 11:12 OLTRE 6 MESI FA
Villa Pliniana, comprata nel 1983: 33 anni per restaurarla

Villa Pliniana, comprata nel 1983: 33 anni per restaurarla

COMO – Una villa del ‘500. Abbandonata. Una villa che è “patrimonio di tutti i comaschi” ma che quando un imprenditore la compra per rimetterla a posto, renderla abitabile, renderla davvero patrimonio fruibile, ci vogliono non cinque, non dieci, ma trentatrè anni. E non certo per la difficoltà dei lavori. I 33 anni sono dovuti alla burocrazia, alle migliaia di permessi, a chi si mette contro, ai vincoli.

E’ l’incredibile storia della villa Pliniana sul lago di Como. Ora che i lavori sono finalmente finiti (tutto è iniziato nel 1983) la storia la racconta per La Stampa Michele Brambilla. E’ la storia di un imprenditore, Emilio Ottolenghi, che vede la villa durante un giro in barca e se ne innamora. Non la può vedere dalla strada. Perché non ci si arriva. La compra. E là iniziano i suoi guai.

Ma suo padre se ne innamorò.

«Sì, passando davanti con una barca».

E la comprò per ricavarne degli appartamenti.

«Esatto. Così, cominciammo a chiedere i permessi per ristrutturarla e per risolvere il problema dell’accesso. Nessun mezzo pesante avrebbe potuto arrivarci».

Interlocutori per i permessi?

«La Provincia. Il Comune. La Regione che allora aveva la delega all’ambiente. La Sovrintendenza. La Comunità Montana».

Un esercito.

«Un momento, non dimentichiamo il Magistrato dei Laghi, e il suo superiore: il Magistrato del Po».

Usl e Vigili del Fuoco?

«Quelli arriveranno dopo. Prima c’era da risolvere lo scoglio della strada. Bisognava ampliarla. “Non si può”, ci dissero».

Problemi tecnici?

«No: vincoli paesaggistici».

Meglio vedere un rudere che una villa rimessa a nuovo ma con una strada a fianco?

«Esatto. Così ci dissero. Poi c’erano alcuni scogli ideologici».

Ideologici?

«Sì, le spiego. Bisognava stipulare una convenzione tra proprietà e Comune per il Piano Integrato di Recupero, che è uno strumento del Piano Regolatore Generale. Insomma. Il Comune esprime pareri estetici vincolanti e chiede contributi. Il principale problema ideologico era che il Comune ci voleva imporre di cedergli tutto o una parte del parco; la villa poi doveva essere visitabile dal pubblico più volte la settimana».

E la strada?

«Niente strada, ci dicevano. Meglio una cremagliera. Tipo Capri».

La cosa incredibile è che a un certo punto Ottolenghi si stanca e decide di regalare (sì, regalare) la villa al Fai. Che in regalo non la vuole. Non ha i soldi per mantenerla. Quindi vorrebbe regalo e soldi per mantenerla o non se ne fa niente. Non se ne fa niente.

Roba da scoraggiarsi.

«E infatti mio padre, scoraggiato, a un certo punto decide di mollare il colpo e di regalare la villa al Fai».

Caspita: al Fai avranno fatto salti di gioia.

«Non proprio. Al Fai dicono che acquisire un bene del genere in omaggio comporta anche dei costi. Quindi chiedono anche una dote, in denaro ovviamente, per mantenere la villa avuto in regalo».

Alla fine scende in campo il figlio di Ottolenghi. Ma per la svolta serve che un pezzo di villa crolli.

E anche per lei scattò la scintilla?

«Esatto. Mi innamorai anch’io della villa. Incontravo la gente del lago: un boscaiolo, un pescatore. Tutti avevano qualche cosa da raccontare sulla Pliniana. Capii quanto era importante per i comaschi. Per fortuna nel ’94 crollò il tetto della darsena».

Per fortuna?

«Si fecero vivi quelli del Comune e ci dissero che dovevamo metterla a posto, naturalmente pagando gli oneri di urbanizzazione. “È un peccato che finisca nel lago”, dissero. Ci fu concesso però di stralciare la darsena dal Piano Integrato».

Magnanimi.

«Nel ’95 partono i lavori per la darsena, e nel ’96 finiscono. Così io comincio ad andarci di più. Mi prendo una Panda 4×4, rischiando un po’ perché non c’erano protezioni. Nel ’99 un’altra svolta: il lago è straordinariamente basso e viene alla luce una grossa lesione nelle fondamenta della facciata della villa. Tutta Como si mobilita: “Bisogna salvare la villa! È un patrimonio di tutti i comaschi!”, dicono».

(…)

Ce la racconti.

«Allora: se non ti colleghi alle fognature, non puoi avere l’abitabilità. Ma le fognature pubbliche dei paesi della riva destra non sono adeguate. Non hanno un depuratore come si deve. Così la Provincia non ci autorizzava il collegamento. Alla fine, abbiamo dovuto costruire noi un impianto di depurazione: ma con l’impegno di abbandonarlo per collegarci all’impianto pubblico quando sarà rinnovato».

Fantastico. Secondo lei perché in Italia ci si mette così tanto tempo per avere risposte dalla pubblica amministrazione?

«Gliel’ho detto: non è colpa dei singoli. Ho trovato funzionari e impiegati disponibilissimi. Ma sono sommersi da una miriade di norme contraddittorie. È il sistema che è troppo complesso. Credo che bisognerebbe lasciare maggior potere discrezionale a chi lavora nella pubblica amministrazione. Oggi nessuno ha il coraggio di prendere una decisione perché non sa bene se le norme glielo permettono, e teme di compiere un illecito».

Ultima domanda: avete avuto contributi pubblici per rimettere a posto Villa Pliniana?

«Ovvio che no. Neanche un centesimo».