Violenza sulle donne, la difficoltà di denunciare

di Maria Elena Perrero
Pubblicato il 17 Maggio 2012 - 15:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Le donne vittime di violenza che riescono a denunciare sono delle eroine: non solo maltrattate, umiliate, picchiate, minacciate, a volte uccise (una donna ogni tre giorni, dicono i dati ufficiali). Ma anche costrette, direttamente o indirettamente, a mantenere il silenzio su quello che stanno subendo.

L’aiuto da parte della società non è molto. L’ignoranza ancora tanta. Chi viene picchiata teme di parlarne persino con le proprie amiche. Si prova a convincersi che siano episodi passeggeri, a volte il pensiero è “me lo merito, è colpa mia”.

Così, come ricorda il primo di una serie di articoli sul tema pubblicati sul blog del Corriere della Sera.it “la 27esima ora”, solo il 7 per cento delle donne denuncia. E solo il 30 per cento ne parla con qualcuno.

Come spiega il blog del Corriere, alcuni assistenti sociali ancora li chiamano “conflitti”, non reati. Quasi che le botte fossero una semplice discussione. E spesso arrivano da uomini “insospettabili”: inizialmente mariti premurosi, colti e benestanti. A volte proprio quell’eccesso di premure, che vogliono quasi tarpare le ali alla propria donna, possono sfociare in violenza non appena lei fa qualcosa autonomamente.

Solo negli ultimi anni in Italia è stato introdotto il reato di “atti persecutori”, anche se forse il termine sminuisce il fatto. Del resto non c’è da stupirsi se si ricorda che fino al 1981 esistevano ancora i delitti contro l’onore. Donne punite perché con il loro comportamento ledevano l’onore del marito, quasi fossero una “cosa loro”.

I soliti tempi lunghi della giustizia italiana non aiutano. Tra la denuncia e il processo passano molti anni. Tutti vissuti sotto minaccia costante. Proprio il terrore è la forza degli “stalker”, o più chiaramente uomini violenti. Non è solo quello che viene fatto alle donne, ma anche quello che viene minacciato di fare.

Come racconta il blog “La 27esima ora”, nel caso di Sara, che è unica ma come tante, “Sara ha vissuto in una bolla per anni. Finché un’amica le ha detto: ‘Tu hai paura di morire, ma sei già morta’. Qualcosa è scattato: Sara ha cambiato la serratura di casa e ha scritto su tutti i muri, con il pennarello rosso: ‘Sono uscita dal cancro’. A fine 2010 ha convinto l’avvocatessa Manente a riprendere il suo caso. Nel frattempo l’uomo è stato condannato per maltrattamenti a un anno (con l’indulto non farà carcere); è in corso un processo per stalking e gli è stato notificato il divieto di dimora nel Lazio. Sara non ha più paura: ‘Se la legge funziona, se non sei sola, puoi provare a rinascere a una vita (davvero) normale’.”