Oltre le archiviazioni da “corruzione e sfruttamento della prostituzione: Vittorio Emanuele di Savoia, una vita non da re

Pubblicato il 24 Febbraio 2011 - 10:48 OLTRE 6 MESI FA

Vittorio Emanuele di Savoia

ROMA – Gianni Barbacetto rievoca le vicende processuali che hanno visto implicato e anche in carcere, Vittorio Emanuele di Savoia,  da cui peraltro il blasonato imputato è sempre uscito pulito, come notano anche i suoi compagni di cella, che a lui danno sempre del lei, reverenzialmemte.

Il giornalista del Fatto Quotidiano rievoca i “gravi” reati di cui è stato accusato, e sempre prosciolto, il discendente di casa Savoia: “corruzione, associazione a delinquere, sfruttamento della prostituzione”. Oltre all’accusa di omicidio volontario a danno di Dirk Hamer, oggi tornato alla ribalta dopo la diffusione di un video in cui Savoia ammetterebbe la sua responsabilità.

Quella ricostruita da Barbacetto non è però la storia giudiziaria di Vittorio Emanuele, bensì un ritratto umano che ne evidenzia limiti e carenze, “comportamenti che, anche se non riconosciuti penalmente rilevanti, sono comunque disdicevoli per uomini che vorrebbero far parte della storia del loro Paese”.

“Italiano offshore, dopo studi faticosi, Vittorio Emanuele si dà agli affari. Fa il mediatore, il piazzista di lusso. Un ‘manager’ davvero speciale: quando ancora non poteva rientrare in Italia, ha a lungo trafficato all’ombra delle Partecipazioni statali, operando per aziende di quello Stato in cui non poteva mettere piede. Ha un ruolo, per esempio, negli affari realizzati a Bandar Abbas, in Iran: lì gli italiani buttano parecchi soldi (pubblici) per costruire un’acciaieria (Italimpianti) e un porto (Condotte). Un disastro industriale, ma che fa girare molti miliardi. Poi, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, il suo nome finisce nelle indagini sui traffici d’armi del giudice di Venezia Carlo Mastelloni e di quello di Trento Carlo Palermo. Le inchieste planano a Roma e vengono archiviate in quello che allora era chiamato il ‘porto delle nebbie’.”

Anche Savoia è iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, come risulta dall’elenco sequestrato dai magistrati milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo nel marzo del 1981. Inoltre, scrive Barbacetto, risulta che Savoia avesse raggiunto il terzo grado delle gerarchia massonica, quello di Maestro.

Nel 2002 è il primo della dinastia ad ottenere “il privilegio di rientrare in patria, superando le disposizioni transitorie della Costituzione repubblicana che proibivano il ritorno in Italia dei discendenti maschi dei Savoia: quelli che avevano aperto la strada alla dittatura fascista, approvato le leggi razziali e abbandonato il Paese al suo destino dopo l’8 settembre”.

Il rientro in Italia, però, non tocca la residenza: preferendo “un regime fiscale più favorevole” all'”amor di patria”, scrive Barbacetto, Vittorio Emanuele è sempre rimasto in Svizzera, a Ginevra, “continuando però a fare affari in Italia”.

Proprio questi affari nel 2006 portano all’iscrizione del suo nome nel registro degli indagati relativo al caso Vallettopoli. Il pubblico ministero di Potenza Henry John Woodcock chiede l’arresto di Savoia con le accuse di associazione a delinquere, corruzione e sfruttamento della prostituzione.

Woodcock gli contesta anche di aver “promosso e organizzato una holding del malaffare specializzata in corruzioni di vario tipo, specie nel settore del gioco d’azzardo”. Insieme ad alcuni complici è coinvolto, secondo l’accusa, ricorda Barbacetto, in un giro di tangenti per ottenere dai Monopoli di Stato certificati per l’installazione di videopoker, le cosiddette ‘macchinette mangiasoldi’, un’attività che “avrebbe favorito anche il riciclaggio di denaro, tramite ‘relazioni con casinò autorizzati e, in particolare, con il casinò di Campione d’Italia’.

L’inchiesta poi viene divisa tra le procure di Como, Roma e Potenza: le prime due archiviano, la terza procede fino al terzo grado e poi pronuncia una sentenza di proscioglimento.

Da Ginevra, ricorda Barbacetto, Vittorio Emanuele si dichiara vittima di un “sistematico attacco per far sprofondare la nostra immagine”, proprio mentre “Casa Savoia aveva indici di gradimento molto alti”. Mentre lui canta vittoria, il figlio balla. Lui sì, in Italia. Anzi, sul palco d’eccellenza dell’Italia di oggi, quello televisivo. Partecipa a “Ballando con le stelle”, il programma condotto da Milly Carlucci.

La sua consorte, Clotilde Courau, si esibisce in uno spogliarello al Crazy Horse parigino. E poi anche il rampollo di casa Savoia si dedica al canto. Anche in questo caso sceglie un palco di eccellenza: quello del teatro Ariston di Sanremo. Con Pupo e al tenore Luca Canonici canta “Italia amore mio”. Forse il padre non la pensa allo stesso modo.